31.12.08

2008, per favore vai via!

Il 2008 è stato un anno tutto sommatto positivo. C'è stato un momento, all'inizio dell'anno, che sembrava ci fosse l'imbarazzo della scelta dei film da andare a vedere al cinema perché tutti di notevole qualità. Un'impressione che non ha tenuto negli ultimi due mesi del 2008, c'è chi dice a causa dello sciopero degli sceneggiatori che comincia a farsi sentire; a mio parere, invece, i veri danni dello sciopero li sentiremo nel 2009 (anno sul quale incombe lo sciopero degli attori e anche il notevole rischio che salti la cerimonia degli Oscar). E' stato anche l'anno della presunta riscossa del cinema italiano, con il successo a Cannes, il miglior attore di Venezia e i tanti complimenti piovuti su Caos Calmo, per citarne alcuni.
Ma siamo qui per fare una scelta e per quanto mi riguarda sono felicissimo di poter tornare a scegliere un film italiano come quello che più mi ha colpito nel corso dell'anno. E si tratta de Il divo, il film che per me ha rappresentato un'innovazione sotto ogni punto di vista e che ha definitivamente consacrato un autore originale come Sorrentino che ha ancora molto da dire. Ribadisco quello che ho scritto ai tempi della visione: fra qualche anno si potrebbe tranquillamente parlare di un prima e di un dopo Il divo nel cinema italiano contemporaneo. E' un'affermazione forte che nulla toglie all'altro bellissimo e grande successo italiano della stagione, Gomorra, ma ho già avuto modo di spiegare che fra i due preferisco il primo e in un pezzo pronto già da un pò ma in attesa di essere pubblicato prima altrove e poi qui ho cercato anche di spiegare il perché.
Il 2008 è stato fortunato sotto molti altri fronti: mi vien da pensare all'auto-remake di Funny Games, al grandissimo risultato finale de Il cavaliere oscuro (quello che avrei fatto meglio a scegliere come film più atteso del 2008 al posto di quel disastro di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo); non sono mancate le delusioni come il mezzo passo falso di Shyamalan con E venne il giorno o il tonfo di autorevolezza di Verdone con il suo ritorno al passato (senza parlare dei tonfi nel settore cinema in generale, come l'avvento di Rondi a Roma, o le tragedie come la morte del giovanissimo Heath Ledger). Il problema, però, è che l'anno nuovo non sembra promettere nulla di buono. E allora preferisco non sbilanciarmi e puntare come scelta per il titolo più atteso del 2009 su qualcosa di extracinematografico e la cui attesa mi sta ormai dando le convulsioni: sto parlando della quinta serie di Lost.
Ovviamente, se volete dirmi le vostre scelte nei commenti le ascolto volentieri.
*
A tutti voi auguro un felice anno nuovo nel quale realizzare ogni vostra ambizione. E serenità, soprattutto serenità. Rubando gli auguri di un caro amico, per quanto mi riguarda... se il 2009 deve andare peggio, stiamo bene con quello che è passato!

30.12.08

Cloverfield

Cloverfield di Matt Reeves
(2008) USA

Non c'è riuscito The Blair Witch Project a cambiare le regole del cinema e non ci riuscirà neanche Cloverfield. Tirare in ballo il primo film è doveroso nel parlare del secondo perché entrambi sfruttano il medesimo espediente narrativo: la memoria di una videocamera viene ritrovata, guardando ciò che contiene scopriremo cosa quella videocamera ha inquadrato e cosa dunque ha distrutto New York, il tutto come se lo stessimo vivendo in prima persona e azzerando i presupposti finzione. The Blair Witch Project ovviamente aveva mezzi più modesti e si faceva forte solo dell'idea, Cloverfield non può contare sulla novità e allora utilizza la stessa narrazione aggiungendogli però una mole stupefacente di effetti speciali. Così il film di dieci anni fa era molto più sconvolgente nell'avvicinarsi al pubblico; la pellicola moderna invece non fa altro che mettere in scena il trito e ritrito attacco del mostro alla grande metropoli cercando però l'identificazione con il vissuto dei protagonisti. Certo, le similitudini non finiscono qui se si ricorda che The Blair Witch Project rappresentò anche uno dei primi e più riusciti tentativi di viral marketing, avviando la pubblicizzazione del film (e soprattutto la sua proposizione come documento realistico) molto prima dell'uscita nelle sale, stessa cosa che ha fatto anche il team di Cloverfield (c'è J.J. Abrams nel mezzo) ma soltanto per far sì che se ne parlasse il più possibile e dunque non cercando le stesse pretese del suo antenato. Insomma, il gioco è collaudato per quanto rischioso.
Alla pellicola di Reeves però non si può obiettare nulla essendo puro intrattenimento e realizzata con notevole efficienza, non facendosi mancare quello che è il sottofondo di poche ma buone pellicole catastrofiche degli ultimi anni: non l'evento in sé ma la reazione degli individui che lo affrontano. Non stupitevi quindi se avrete un brivido non tanto alla visione del mostro ma all'immagine di diversi idioti che piuttosto che scappare fotografano con il celluare le macerie della statua della libertà. Allo stesso modo, l'idiota che sta riprendendo con la videocamera ci dà modo di scoprire che cosa è successo a Manhattan ed ecco allora che rivaluteremo il nostro giudizio frettoloso sull'ossessione di digitalizzare tutto anche nei momenti peggiori, estremo tentativo di scavalcare la nostra mortalità. Non poco per una pellicola d'intrattenimento.

Tropic Thunder

Tropic Thunder di Ben Stiller
(2008) Usa/Ger

Sono lontani i tempi del cult Zoolander e anche se il regista è lo stesso Tropic Thunder si propone come un ampliamento di prospettiva molto più ambizioso e certamente più curato, laddove il primo era satira e divertita messa in scena e il secondo è satira ma anche cinema d'alto livello. Questo film, infatti, si può descivere come una parodia girata in maniera dannatamente seria che non sfugge all'obbligo delle citazioni cinematografiche (il genere, ovviamente, è quello di guerra) ma parallelamente porta avanti un discorso di decomposizione del cinema americano, una critica arguta e divertita dei meccanismi che vi imperano all'insegna del politicamente scorretto. Memorabile il dialogo di Robert Downey Jr. nel quale egli spiega a Stiller che al cinema un ritardato completo non può avere successo, mentre un ritardato che ha un minimo di qualità si guadagna premi a pioggia ("Sean Penn in Mi chiamo Sam. E' rimasto a mani vuote!"), suscitando anche un pochino di vergogna in noi spettatori che probabilmente tale logica la avvalliamo al botteghino. Ma va bene perché un fondo di verità si palesa come scrupolo di coscienza ed è questo il meccanismo alla base della satira di Ben Stiller. La parodia non si ferma solo a questo e incide con chirurgica cattiveria sugli attori dello star system ribaltando continuamente il punto di vista (il vero nero che rimprovera il finto nero di essere una ridicola macchietta si lascerà sfuggire un "che cavolo stai dicendo" di arnoldiana memoria, diventando così clichè di sé stesso) e trascinando con sé anche chi ad Hollywood si siede dietro le scrivanie del potere, concedendo così a Tom Cruise la breve ma fantastica interpretazione di un produttore villano e disposto a tutto.
Ben Stiller riesce con genuina intelligenza dove in molti hanno fallito: massacra il cinema americano molto più di autori metacinematografici andando a colpire dritto al cuore e senza mai smettere di fare cinema. Poco importa la stucchevole redenzione finale.

P.S. Tra gli autori dello script e produttore compare il lynchiano Justin Theroux, questa sì una bella sorpresa!

29.12.08

Slipstream - Nella mente oscura di H.

Slipstream di Anthony Hopkins
(2007) USA

Uno sceneggiatore cinematografico vede materializzarsi nella realtà i personaggi del suo ultimo copione e nel contempo si ritrova a vivere nel copione stesso, cominciando a confondere realtà ed immaginazione fino alle estreme conseguenze. Tutta qui la trama del terzo film da regista di Hopkins; il problema è come questa trama viene narrata e sviluppata. Manco si fosse calato un intero carico di anfetamine, il signor Hopkins realizza una regia mostruosamente complessa ed esagerata, utilizzando tutti gli effetti possibili e compiendo soprattutto un lavoro di montaggio che continua a sovrapporre immagini e suoni. Molti critici hanno scomodato il nome di David Lynch: si tratta di capire se questi critici non hanno capito nulla di Lynch o del film di Hopkins. Fatto sta che l'unico elemento in comune tra i due è l'uso del digitale, per il resto l'attore qui in veste di regista si prende tutte le libertà che vuole, esagerando e non curandosene. Infatti il risultato finale è un pasticcio bello da vedere ma che non lascerà traccia alcuna né nella storia del cinema né nei progressi che riguardando l'uso del digitale sul grande schermo. L'unica nota rilevante è il pesante lavoro di fotografia che abbellisce di molto la storia psicopatica scritta dal regista stesso.
Ci si dovrebbe chiedere, più che altro, il perché di questo film, cosa ha spinto Hopkins a volerlo scrivere, dirigere, recitare e comporne le musiche. Un tale sforzo dovrebbe verificarsi solo quando si ha qualcosa di forte da dire o qualcosa di rivoluzionario da proporre sul metodo narrativo. Slipstream mi sembra che fallisca su entrambi i fonti, pur riconsocendo personalmente l'onore delle armi al grande Hopkins che alla sua età almeno dimostra di non volersi fossilizzare e ci mette sia la faccia che il nome. Magari ad una seconda visione mi ricrederò, per ora questo film non mi ha lasciato nulla di valido.

28.12.08

Gone Baby Gone

Gone Baby Gone di Ben Affleck
(2007) USA

Come molti attori al loro esordio dietro la macchina da presa, anche Ben Affleck decide di raccontare una storia che ha le sue radici profondamente radicate nella città dove è cresciuto, tirando in ballo le origini e il proprio background. E per andare ancora di più sul sicuro sceglie il fratello come protagonista, anche lui bostoniano di prima scelta. E' la storia narrata, piuttosto, la vera sorpresa che è sì fortemente radicata sul territorio ma assume connotazioni facilmente universali, offrendo diversi spunti e non prendendo una direzione univoca. Il film pone al centro dell'attenzione i dilemmi morali che affliggono Casey Affleck e le verità che riesce a far emergere durante le sue indagini, verità che di volta in volta lo mettono davanti ad una scelta da compiere e ciascuna di queste gli costerà sempre un prezzo più o meno alto. Ciò che di sano sceglie di fare il regista alla sua prima prova è di non fornire tutte le risposte ad ogni domanda ma lascia che siano i personaggi con la loro dialettica e le loro azioni a mettere in campo tutte le possibili soluzioni, costringendo lo spettatore a spostare più di una volta le sue simpatie e mettendolo nella posizione non facile di vedere con i propri occhi come non sia tutto o bianco o nero nella vita. Forse il successo di Affleck è stato proprio questo: non scegliere una storia facile, non offrire subito un punto di vista forte e chiaro ma lasciare che ad emergere fossero tutti i suoi dubbi e le sue perplessità sul mondo. Salta all'occhio, comunque, che gran parte della riuscita del film è da addebitare all'ottima fotografia che restituisce vividamente i reali luoghi delle riprese e al prezioso contributo di ogni elemento del cast. Ma va dato atto a Ben Affleck di aver realizzato un'opera perfettamente incastrata in quell'ottica di cinema contemporaneo americano che sta dando le maggiori soddisfazioni, in un perfetto equilibrio fra classico e moderno, con un risultato apprezzabile e di tutto rispetto che avrà suscitato certamente l'invidia di numerosi colleghi.

27.12.08

Da oggi la lista dei film riportati sul blog è in ordine alfabetico. Avendo lasciato fare tutto al sistema automatizzato di blogger, articoli a precedere il titolo e quant'altro vengono calcolati ai fini dell'ordine alfabetico.

The Mist

The Mist di Frank Darabont
(2007) USA

In un episodio de I Griffin, Stephen King veniva rappresentato come uno scrittore talmente ripiegato su sé stesso da trasformare qualsiasi oggetto in una minaccia per l'uomo pur di continuare a scrivere. Ho pensato a questo quando ho letto la trama di The Mist: un gruppo di persone rimane bloccata all'interno di un supermercato mentre fuori una fitta nebbia avvolge e uccide tutto ciò che incontra. Tralasciando ogni giudizio sul racconto scritto visto che qui si sta parlando del film, la buonissima resa della pellicola è da attribuire tutta a Darabont che si è occupato anche della scenegiatura. Darabont, si sa, ha già tratto ottimi film da alcuni dei migliori romanzi di King (Il miglio verde, Le ali della libertà) ma sembrava tenersi lontano dalle venature più horror dello scrittore americano. Stavolta sceglie quella via e va fino in findo: The Mist è un concentrato di tensione come non se ne vedevano da tempo, un abilissimo esempio di regia che vuole tenerti incollato alla sedia e con il cuore in gola fino alla fine. A guardar bene il film, si intuisce che Darabont ha ottenuto tutto ciò concentrandosi soprattutto sul nutrito gruppo di protagonisti, sulle loro paranoie e le loro debolezze, mettendo in scena quello che un pò tutti sappiamo ma che quando vediamo ci fà rimanere scossi: gli uomini, quando vengono terrorizzati e piegati dalla paura, farebbero di tutto pur di salvarsi e si affiderebbero a chiunque se questi gli promette la salvezza. Ogni riferimento a persone ed eventi accaduti negli ultimi anni in America come nel resto del mondo è, credo, per nulla casuale. Ecco, allora, che la macchina da presa non si allontana mai dai protagonisti, gli si incolla addosso cercando di cogliere ogni loro dolore, ogni loro spavento e sposta la sua attenzione sui 'mostri' solo quando le esigenze della sceneggiatura lo richiedono, sfruttando al massimo lo spazio ristretto dove si concentra l'azione e riportando fedelmente sullo schermo dei caratteri così complessi ma intuitivamente così facili come solo King sa descrivere. Darabont, alla fine, vuole andare oltre a ciò che King ha scritto e mette in scena un epilogo di suo pugno davvero disturbante, un atto agghiacciante e disperato, un finale cupo e nero come in America spesso non osano. Nessuna concessione alla speranza.
Non c'è da stupirsi, allora, se ancora una volta sono le allegorie più spietate a far emergere gli errori della società contemporanea: già The Village si era imposto come una delle migliori esposizioni sull'America post-11 settembre e The Mist non fà eccezione. Mi sembra, questa, la grande differenza tra il cinema americano e quello europeo: i primi preferiscono girare intorno alle cose e metabolizzarle a suon di parabole, in Europa si preferisce mettere in scena ciò che si vuol dire. Non sto dicendo che un metodo sia migliore dell'altro ma determinare quale approccio utilizzano diverse culture mi sembra faccia emergere pregi e difetti di una e dell'altra. Magari di questo torneremo a parlare.

26.12.08

Birth - Io sono Sean

Birth di Jonathan Glazer
(2004) USA

Una sorpresa nel mare magnum delle produzioni cinematografiche USA, Birth è colpevolmente passato sotto silenzio probabilmente per il tema narrato ma soprattutto per l'approccio scelto dal regista, semplice ed impetuoso al tempo stesso, volontà di farsi sentire dietro ad ogni inquadratura, non per questo molesto ed invadente nei confronti dello spettatore. Glazer racconta una storia difficile e surreale che è riuscitissima innanzitutto grazie all'intenso lavoro degli attori (su tutti, si staglia manco a dirlo Nicole Kidman ma il regista è notevole anche nel dirigere il piccolo Bright) ma soprattutto per le scelte di direzione che non inquinano neanche per un attimo le difficoltà del racconto ma anzi lo arricchiscono di elementi essenziali, come ad esempio l'utilizzo del commento musicale o il coraggio di rimanere per più di due minuti sul primo piano fisso della protagonista in un momento cruciale del film. Birth ha un risultato finale dignitosissimo innanzitutto perché si lega fortemente ad un'idea di cinema contemporaneo che vuole concedere ben poco al classicismo e tenta non poche sperimentazioni. Mi ha sorpreso più che altro come il giovane Glazer ricordi in molti momenti un altro regista a lui contemporaneo (sì, sto pensando a Shyamalan) e come il lavoro di quest'ultimo stia già iniziando a fare proseliti. Anzi, mi ricordo un'intervista a Shyamalan in cui diceva: "vorrei fare un film su un elemento della mia cultura indiana, la reincarnazione, ma già immagino le sale cinematografiche deserte." Glazer, dal suo piccolo, ha avuto più coraggio senza ottenere un notevole successo. Gli va reso comunque l'onore di aver realizzato un prodotto non facile e il cui risultato finale non è per nulla scontato, dove riesce a tirare avanti anche un discorso sull'illusione di certi sentimenti e come questi riescano ad influenzare la nostra vita, nel bene e nel male. Non facendosi mancare l'idea di un finale teso che non spazza via tutti i punti interrogativi.

23.12.08

Caos Calmo

Caos calmo di Antonello Grimaldi
(2007) Ita\Uk

Ci sono emozioni nella vita forti a tal punto da lasciarti senza la minima reazione. O una minima idea di come dover reagire ad un forte dolore, a qualcosa che ti travolge e la insensata razionalità di lasciar tutto correre, di fermarsi un momento a pensare, di ricominciare a scoprire come si fa a vivere. Trovare un posto su di una panchina non è cosa da tutti, prendersi una pausa e dedicarsi completamente alla consolazione di qualcuno, tralasciando volutamente che in realtà si cerca consolazione per sé stessi. E tutt'intorno una sarabanda di personaggi, individui, uomini e donne, ciascuno con il proprio dolore e ognuno di loro in cerca di una risposta, che sia questa un sorriso, uno schiaffo o un abbraccio. Un uomo che perde una moglie, una figlia che perde una madre; tutt'intorno il mondo non si ferma, continua a girare perché "i topi non avevano nipoti" e c'è' sempre qualcuno convinto di star soffrendo più di te, come se il dolore avesse sfumature e distinzioni, come se esistesse un grado di separazione tra ciò che è sopportabile per qualcuno ed insostenibile per qualcun'altro. Come non ricordare Totò: "siamo tutti uguali davanti alla morte", che non significa solo che siamo tutti accumunati dal nostro essere mortali ma anche che siamo tutti minacciati nella nostra dignità davanti al dolore. L'unico modo che abbiamo per sopravvivere è non lasciarci sopraffare da ciò che non possiamo gestire, non lasciarsi terrorizzare da ciò che non possiamo evitare perché altrimenti si smette di condurre una vita per sé e per gli altri come è giusto che sia. C'è ben altro intorno a noi, c'è la necessità di ritrovarsi in un microcosmo che è il nostro mondo, c'è la carne a ricordarci che siamo vivi, c'è una panchina metafora della tana di cui tutti hanno bisogno, c'è una mattina di bianco innevata che è esplosione dei sensi e lacrime liberatorie. E' un caos che è calmo.

22.12.08

Sfida senza regole

Righteous Kill di Jon Avnet
(2008) USA

Nella incredibile quantità di letame che è stata tirata addosso a questo film ai tempi della sua uscita, ricordo di averne letta una in particolare: che il film non solo era brutto ma che era pure recitato male! Come se fosse possibile che De Niro e Pacino possano recitare male. E infatti non è vero e probabilmente chi lo ha scritto era talmente toccato dalla grande delusione di questo film da volerne scrivere tutto il male possibile. Il bello è che la presenza dei due giganti mi ha dato da pensare esattamente all'opposto e cioè che probabilmente il film non funziona perché è sbagliata proprio la scelta dei protagonisti: due mostri sacri del genere sono totalmente sprecati per un film dal ritmo talmente serrato da diventare stancante e con un plot narrativo di cui si intuisce la fine dopo dieci minuti dall'inizio. E anche se ci provano in tutti i modi a dare un certo spessore ai protagonisti ed alle loro motivazioni, probabilmente il loro tentativo viene affossato dalla regia superficiale di Jon Avnet, uno che di certo non ha un granchè di carriera di cui vantarsi e che trasferisce tutta la sua esperienza televisiva sul grande schermo così com'è, non tentando dunque una fusione tra le regole dei due mezzi.
Risultato: la coppia recitativa tanto attesa alza gli standard che ci si aspetta dal film, il regista non ha evidentemente una storia personale per reggere le aspettative. La catastrofe era dietro l'angolo, l'hanno evitata per un pelo ma giusto fermandosi nella mediocrità di certo cinema contemporaneo.
Nota a margine: l'attuale doppiatore di Robert De Niro è un cane sciolto, va riportato nei ranghi perché rende ancora più sopra le righe la recitazione dell'attore che già ci mette un bel pò di suo!

21.12.08

FWWM - Le scene eliminate

Se ricordate la notizia della pubblicazione dello script di Fuoco cammina con me, unica via per conoscere le scene eliminate del film e sapere con certezze se queste siano state o meno girate, sappiate che la terza parte è on-line.
Non appena la quarta parte sarà resa nota, ve ne darò notizia.

19.12.08

La bussola d'oro

The Golden Compass di Chris Weitz
(2007) Usa\Uk

La bussola d'oro si candida al ruolo di peggior riduzione cinematografica di un libro fantasy da un bel pò di tempo a questa parte. Certo, dopo Il Signore degli Anelli lo standard si è alzato e il genere è stato abusato (e segnato) ma rode parecchio vedere un bel romanzo non dico tagliuzzato di tante parti ma completamente svuotato del suo senso e delle tematiche che vuol trattare. Per fare un paragone moderno, immaginate che si prendano i protagonisti dalla serie Twilight per trasportarli sullo schermo come normali adolescenti senza le caratteristiche vampiresche (faccio questo esempio non a caso, visto che è stato fatto il nome di Weitz per il sequel dei vampiri). La bussola d'oro fa più o meno questo: ha preso il primo tomo della trilogia 'Queste oscure materie' ed ha completamente eliminato tutto il discorso "fede contro ragione, ateismo contro deismo" per narrare in maniera frettolosa e confusa la storia di una ragazzina che gira il mondo in 48 ore (o almeno questa è stata la percezione del tempo che mi ha consegnato il montaggio della pellicola). Via tutti i paralleli tra la chiesa e il suo desiderio di controllo e di censura, via il dramma di uomini di scienza privati della loro libertà e governati da una sottile teocrazia; solo azione ed avventura e personaggi tratteggiati con una superficialità tremenda, tra una Kidman che regge bene il gioco nel ruolo della perfida Mrs. Coulter e un Daniel Craig che appare per 5 minuti (il suo personaggio nel libro è il perno dell'intera storia, ma qui hanno completamente tagliato il finale nel quale era assoluto protagonista).
La trilogia 'Queste oscure materie' è un attacco ai dogmi delle istituzioni religiose e alla loro pericolosità. Il film è un intrattenimento per ragazzini riuscito pure male, adattato alla meno peggio e pessimamente rifinito. Peccato, è stata un'occasione sprecata.

17.12.08

Masters of Horror (5) McKee, Hooper

Masters of Horror si compone di due stagioni durante le quali nomi accreditati del cinema internazionale hanno dato libero sfogo alla propria vena horror.

Sick Girl di Lucky McKee. L'episodio gioca in maniera esplicita con la doppia valenza delle storie horror fin dal titolo: l'etichetta di 'ragazza malata' è affibbiata alla protagonista a causa della sua insana passione per gli insetti che influenza perfino la sua vita sociale, ma lei è anche omosessuale e c'è chi la giudica 'malata' proprio per questo. Ecco allora che tutta la storia si muove su questi due binari, dove le venature horror si intrecciano continuamente con l'umiliazione e la redenzione delle protagoniste non facendosi mancare continue sfumature ironiche e anzi servendosi di queste per non appesantire l'intreccio. Il risultato è uno dei migliori episodi della serie, ottimamente recitato e costruito, che non propone solo domande ma nel finale esprime un giudizio ed una risposta ai temi di fondo.
Dance of the Dead di Tobe Hooper. Il navigato Hooper prende in giro lo spettatore per tutto il tempo facendogli credere che un 'anziano' regista come lui non può che implacabilmente condannare a morte la gioventù americana così sprezzante nei confronti dei valori di convivenza civile, salvo poi ribaltare completamente il punto di vista addossando alla vecchia generazione tutte le colpe di un presente devastato. Le atmosfere post III guerra mondiale e della battaglia batteriologica che l'ha caratterizzata sono affascinanti e ben costruite, fra l'altro con un occhio per nulla antico ma molto moderno. Co-protagonista speciale dell'episodio un Robert Englund gigione e disgustoso al punto giusto, ad esempio quando si fa praticare sesso orale da una non-morta!
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6.12.08

Ve lo meritate Beppe Grillo!

Che Cineblog.it, piaccia o meno, è il blog di cinema più letto in Italia è un fatto. Che la stragrande maggioranza dei blogger italiani sono provinciali e invidiosi di questo primato è un fatto. Altrimenti non si spiegano i commenti alla recensione di Australia, carichi oltre misura di un certo livore che ben presto sfocia nella più becera stupidità ed insensatezza.

5.12.08

Stasera andiamo al cinema on demand?

Prima o poi doveva succedere pure in Italia (per fortuna) e non mi stupisce che sia la Fandango a proporsi come casa di produzione che precorre i tempi. Stiamo parlando del primo caso di cinema on demand in rete contemporaneamente alla sua uscita nelle sale: Fandango e Fastweb hanno rggiunto un accordo grazie al quale la prima offre alla seconda film che oltre ad essere in giro per i cinema italiani potranno anche essere visti direttamente in rete previo pagamento. Per la Fandango è un modo per dare maggiore spazio a film piccoli che soffrono di una distribuzione ridotta e di un battage pubblicitario marginale, per Fastweb è una possibilità di testare il primo grande esperimento di riduzione dell'intervallo tra uscita nei cinema e disponibilità a noleggio o in vendita.
Ovviamente che si punti su film di nicchia è anche sintomo di quanto timidamente non si vogliano sprecare film di grande richiamo per un mezzo come internet che fà ancora molta paura al mondo del cinema. Inutile anche avviare la solita analisi dell'avanzata di internet sugli altri media perché ormai sono cose note a tutti tranne ai professionisti del settore.
I film in questione, comunque, sono Diari di Attilio Azzola e Deep Water - La folle regata di Rothwell ed Osmond; gli utenti Fastweb possono vederlo sul computer o direttamente sul televisore attraverso il decoder a 4,99 euro.

2.12.08

David Lynch si dà da fare!

Periodo di grande operosità per David Lynch.
E' uscito già da qualche tempo in America l'attesissimo Lime Green Box, un cofanetto prodotto e curato dallo stesso David Lynch che riunisce in 10 dvd alcune pellicole e opere extracinematografiche del regista rimasterizzate per il formato digitale (Eraserhead, The Short Films of David Lynch, The Elephant Man, Velluto Blu, Cuore selvaggio, Dumbland, Industrial Symphony Vol. 1.); a queste si affiancano il disco con la colonna sonora rimasterizzata di Eraserhead con una bonus track e un disco di soli extra per The Elephant Man con contenuti inediti. La vera chicca di questa proposta è il disco numero 10, precedentemente annunciato come il 'Mistery Disc' poichè i contenuti sono stati secretati fino alla pubblicazione. Adesso sappiamo cosa contiene: una presentazione dello stesso Lynch al disco; ben 32 scene inedite eliminate da Cuore selvaggio (delusione per chi si aspettava la scena completa della cruenta e perversa uccisione di Stanton da parte della Zabriskie; evidentemente i famosi contenuti violenti della scena sono rimasti solo sulla carta e mai realmente girati); la serie di due episodi Out Yonder con Lynch protagonista insieme a suo figlio Austin; un nuovo montaggio in 4 episodi della serie Rabbits; una serie di esperimenti in cortometraggi del regista realizzati nell'arco della sua carriera e mai resi noti (Hollyshorts Greeting del 2008, 16mm girato tra il '67 e il '68, Absurd Encounter with Fear del 1967, Twin Peaks Festival Greeting che è una sorta di omaggio del regista al festival annuale dedicato alla serie ma che svela parecchie connessioni ad esempio tra il pavimento di Ereserhead e la Red Room di Twin Peaks, Fictitious Anacin Commercial che risalirebbe al periodo pre-Eraserhead, Scissors presentato per l'anniversario di Cannes, A real indication che è un videoclip girato con Angelo Badalamenti per l'omonima canzone). In tutto questo, anche un libretto con svariate foto inedite.
E' ragionevole pensare che il grande sforzo profuso per questo cofanetto autoprodotto dalla Absurda faccia da apri pista per ciò che i fan aspettano ormai da anni, ovvero le famose scene inedite di Fuoco cammina con me. A tal proposito, nuove dichiarazioni di David Lynch fanno ben sperare: "il film è di proprietà della MK2 in Francia. Ho parlato con loro diverse volte negli ultimi tempi. Credo che la pubblicazione di quelle scena avverrà ma non saprei dire quando, l'attuale crisi economica potrebbe incidere sui tempi. So per certo che ci dovrebbero essere almeno 17 scene inedite da editare." Si può sperare, insomma.
In tutto questo, il buon Lynch sta trovando il tempo di preparare un lavoro commissionato da Cartier (una sorta d'installazione per il Miami Art Basel), sta portando avanti il progetto di una web-serie per il suo sito ispirato al suo libro sulla Meditazione Trascendentale e infine ha deciso pure di sposarsi in febbraio. Per la quarta volta! La nuova fortunata è Emily Stofle. Se non ricordate chi è, potete dare un'occhiata a INLAND EMPIRE oppure pensare a dove l'avete già vista in compagnia di Lynch.

1.12.08

1 dicembre:giornata mondiale contro l'Aids