Manderlay di Lars von Trier
(2005) Dan\Sve\Ola\Fra\Ger\Uk
Comincio col dire che svanita (attenzione, non esaurita!) la sorpresa nella genialità della messa in scena di Dogville (cinema, letteratura e teatro insieme), Manderlay fatica a coinvolgere almeno per la prima mezz'ora di film. Poi, fatta chiarezza sulle tematiche centrali e presa familiarità con il nuovo volto di Grace, si comincia a calarsi in questo nuovo universo di von Trier che è il secondo capitolo della trilogia America. Stavolta si parla di democrazia da esportare e di razzismo radicato culturalmente, due elementi caratteristici dell'America odierna. Ovviamente, la storia è emblematica nei suoi intenti ma lo svolgimento è tutt'altro che scontato e noioso; anzi, ci sono pure un paio di colpi di scena decisamente sorprendenti e il capovolgimento della figura di Grace che nel primo episodio era vittima sacrificale della comunità e qui diventa vittima di se stessa.
Il cast è all'altezza delle aspettative e Bryce Dallas Howard regge il confronto (non paragone) con chi l'ha preceduta; la figura del padre interpretata da Willem Dafoe invece mi è piaciuta molto meno ma non credo la colpa sia da imputare all'attore, piuttosto al personaggio, meno freddo e lucido della prima volta. Danny Glover colpisce per genuinità. La regia, manco a dirlo, è sospesa fra l'autorale e l'esperimento. Lars von Trier disattende alcune delle aspettative garantite dalla sua carriera ma proprio per questo ce ne si innamora ancora di più.
(2005) Dan\Sve\Ola\Fra\Ger\Uk
Comincio col dire che svanita (attenzione, non esaurita!) la sorpresa nella genialità della messa in scena di Dogville (cinema, letteratura e teatro insieme), Manderlay fatica a coinvolgere almeno per la prima mezz'ora di film. Poi, fatta chiarezza sulle tematiche centrali e presa familiarità con il nuovo volto di Grace, si comincia a calarsi in questo nuovo universo di von Trier che è il secondo capitolo della trilogia America. Stavolta si parla di democrazia da esportare e di razzismo radicato culturalmente, due elementi caratteristici dell'America odierna. Ovviamente, la storia è emblematica nei suoi intenti ma lo svolgimento è tutt'altro che scontato e noioso; anzi, ci sono pure un paio di colpi di scena decisamente sorprendenti e il capovolgimento della figura di Grace che nel primo episodio era vittima sacrificale della comunità e qui diventa vittima di se stessa.
Il cast è all'altezza delle aspettative e Bryce Dallas Howard regge il confronto (non paragone) con chi l'ha preceduta; la figura del padre interpretata da Willem Dafoe invece mi è piaciuta molto meno ma non credo la colpa sia da imputare all'attore, piuttosto al personaggio, meno freddo e lucido della prima volta. Danny Glover colpisce per genuinità. La regia, manco a dirlo, è sospesa fra l'autorale e l'esperimento. Lars von Trier disattende alcune delle aspettative garantite dalla sua carriera ma proprio per questo ce ne si innamora ancora di più.
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