21.1.11

visioniINBREVE

My son my son, what have ye done? di Werner Herzog Strillatissima produzione di David Lynch (che sembra il tipo di produttore che ci mette i soldi e basta, poi possono fare quello che gli pare) il film di Werner Herzog è un'opera inconcludente e piuttosto infelice che non va a parare da nessuna parte. Dovrebbe essere la descrizione della discesa nella follia di un giovane attore che uccide la propria madre (con la quale ha un rapporto morboso) e poi si barrica in casa. Mentre la polizia assedia la casa, vari interrogatori a testimoni diretti ricostruiscono la lenta follia dell'individuo. La frammentazione della cronologia narrativa e il cast non di poco conto non aiutano a salvare l'opera dalla noia; peggio ancora, si percepisce l'evidente assenza di intenzioni del regista che probabilmente brancolava nel buio. La fredda fotografia e l'ironia latente sono gli unici appigli che aiutano lo spettatore ad arrivare fino alla fine. 

Nightmanre on Elm St. di Samuel Bayer Uno dei peggiori reboot della storia. La figura di Freddy Kruger e i buoni ricordi che ne avevamo vengono spazzati via da questo film insulso e scadente, di cui niente si salva se non l'attore nei panni del leggendario demone che però da il meglio di sé solo nei flashback. Un horror fuori da ogni logica commerciale ed artistica, anacronistico ed offensivo per il marchio creato da Wes Craven.

Happy Family di Gabriele SalvatoreL'ultimo film di Salvatores dichiara le proprie intenzioni fin dalla prima scena, quando il protagonista narratore dice di voler scrivere un film ma che non ha l'idea portante. Fondamentalmente Happy family è proprio questo: un pretesto ironico e catartico per giocare con le regole del cinema e della metaletteratura, nel quale Salvatores si diverte molto e mostra di essere a proprio agio. Pirandelliano fino allo stremo, la commedia è piacevolissima e divertente ed il regista tenta un paio di azzardi non da poco (un videoclip di immagini notturne, un montaggio isterico inusuale per il cinema italiano) come volesse togliersi degli sfizi a lungo sopiti. E nel farlo regala ottimi ruoli ad attori che non deludono, De Luigi in testa.

Brotherhood di Nicolo Donato Chiacchierata pellicola descritta come un "Brokeback Mountain nazista", Brotherhood è un'opera piacevolissima e per certi versi azzardata (c'è una scena di sesso omosessuale particolarmente lunga e dettagliata come non se ne vedevano da anni) che si realizza perfettamente nella messa in scena ma delude sul versante delle intenzioni. Se infatti la storia è molto ben raccontata e credibile, inducendo lo spettatore ad empatizzare con una storia d'amore impossibile ma bellissima proprio come fece Ang Lee, l'assunto finale (la violenza genera violenza) è abbastanza scontato e discutibile. La componente neo-nazista della storia appare quasi secondaria e funge da cornice a dei protagonisti molto ben scritti e altrettanto ben recitati. 

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