26.3.09

L'anticristo di Lars von Trier

Prima immagine ufficiale di Antichrist, il nuovo film di Lars von Trier. Attesissimo per me.

22.3.09

Niente è come sembra

Niente è come sembra di Franco Battiato
(2007) ITA

L'esordio alla regia di Battiato, Perduto Amor, era formale e canonico, bello nel suo essere classico e personale al tempo stesso. Il secondo film, Musikanten, prese la via della sperimentazione e seppur particolarmente complesso (mi permetto di citarmi) "nell'insieme tutto acquista un senso". Il terzo film, questo Niente è come sembra, è l'esagerazione all'ennesima potenza dell'arroganza (da intendersi in senso buono) di un autore che, come più volte ha dichiarato, si sente libero di fare i film che vuole. Fermo restando la grande ammirazione che mi lega alla carriera di Battiato, saggia arroganza e totale libertà non sono sempre sinonimo di bellezza e riuscita di un'opera: ci sarebbe voluto un produttore che frenasse un pò le mastodontiche ambizioni del regista. Che ce le mette tutte per osare ciò che in pochi hanno osato: portare la fede ed il misticismo al cinema; il film, infatti, è lo scontro fra un gruppo di credenti di diverse religioni e un ateo di provato scetticismo. Devo ammettere che la visione del film, per un non credente come il sottoscritto, è stata particolarmente irritante in quanto è evidente il totale squilibrio di spazio concesso ai personaggi credenti a scapito dell'unico ateo. Ma un autore può sostenere la tesi che vuole e tutto sommato alla fine del film non si ha l'impressione che i non credenti siano stati mancati di rispetto; così come non si ha l'impressione che sia stata resa giustizia ai credenti, tutti abbozzati superficialmente in un breve lasso di tempo. 
Niente è come sembra, insomma, tocca temi alti e s'illude di farlo con una regia che difficilmente può definirsi cinema (tranne rari momenti decisamente affascinanti, come l'uso delle luci nei piccoli monologhi) e che nella sua assenza rende insopportabili le interpretazioni del cast; nello spazio cortissimo di un'ora; riempito fino a scoppiare di citazioni colte. L'intento è nobile e coraggioso: infondo, se si legge fra le righe del film, riconosciamo in ogni singola scena la possibilità di scorgere un elemento caratteristico della complessa ed ignota personalità di Battiato. Ma mettere in gioco sé stessi non è abbastanza e non è garanzia di qualità. E nonostante il film miri in alto, probabilmente non lascerà traccia di sé.

17.3.09

The Millionaire

Slumdog Millionaire di Danny Boyle
(2008) Ing\India

Film che più ruffiano non si può, utilizza tutti gli stereotipi possibili e immaginabili per costruire un crescendo di emozioni che per rimanere tale provoca spaventosi buchi di sceneggiatura, colpevoli di rendere ancora più inconsistente una storia che già ci mette del suo per non mirare al realismo (l'idea, poi, di raccontare una storia già scritta nel destino è un qualcosa che per me rappresenta l'anti-cinema per eccellenza). 
Intendiamoci, non si può dire che sia un film da buttare ma la mia visione è stata inquinata dal pregiudizio "pioggia di Oscar" a cui ho cercato di trovare una giustificazione ad ogni modo. Questo film è semplicemente nella media, nulla di più e gli errori non mancano. Davvero Danny Boyle meritava il premio alla regia per questa opera? Inquadrature oblique senza alcun motivo, per lo più strette sui primissimi piani (cercando evidentemente di ottenere il più possibile da attori non esattamente professionisti), scene d'azione nelle quali i movimenti della macchina da presa erano talmente sconclusionati da rendere impossibile la percezione dell'immagine (ne Il cavaliere oscuro, per dirne uno, ci sono momenti doppiamente turbolenti nei quali l'insieme dell'inquadratura e la chiarezza di tutto ciò che vi accade dentro non minano assolutamente la limpida chiarezza delle azioni). Perfino il montaggio ha vinto l'Oscar, un montaggio che è una continua offesa all'intelligenza dello spettatore al quale deve essere spiegato tutto manco fosse deficiente (il montaggio della scena finale, poi, è veramente da spararsi in testa!). 
The Millionaire è una favola moderna con la pretesa di denunciare le infamie subite da un paese culturalmente ricco qual è l'India. Pur essendo intrattenimento che può anche emozionare, resta il fatto che non ha nessun valore aggiunto che possa minimamente dare spiegazione a tutto il clamore che ha suscitato. Unica spiegazione: Hollywood arranca e corteggia Bollywood; gli si è presentata l'occasione ideale per santificare il matrimonio tra i due mercati e non è stata persa. A discapito di tutti quei bei film che agli Oscar sono rimasti a bocca asciutta.

13.3.09

LYNCH (one)

LYNCH (one) di blackANDwhite
(2007) USA

Come era ovvio aspettarsi dalle anticipazioni, LYNCH (one) è un documentario che più atipico non si può. Non segue lo schema tipico del genere (tesi e dimostrazione), non si limita ad essere la tediosa biografia di un regista di successo, non promette sensazionali scoperte sulla complessa figura posta al centro dell'analisi. Semplicemente vuol far vedere Lynch all'opera in tutte le sue declinazioni: pittore\scultore, fotografo, divulgatore della Meditazione Trascendentale, musicista (anche se questa vena viene per lo più accennata). 
E regista ovviamente, solo che non viene per nulla indagata la sua carriera ma ci si concentra esclusivamente sulla lavorazione di INLAND EMPIRE; e su quest'ultimo sì che c'è un bel pò da scoprire: Lynch che propone a Jeremy Irons un ruolo nel film, in che modo prendono forma personaggi ed attori (ancora una volta c'è lo zampino della Meditazione), la costruzione dei set dove il regista svolge un ruolo attivissimo (non è raro osservare Lynch lavorare in prima persona come un vero artigiano, con le mani in pasta), la nascita della leggendaria giacca verde. Uno dei momenti che sicuramente più mi ha colpito è lo sfogo di Lynch che ad un certo punto della lavorazione di IE ammette di essere "depresso perché non so in che direzione sto andando con questo esperimento." Certo, di questa frustrazione e successiva guarigione dell'autore si era già venuti a conoscenza ma vederlo davvero soffrire praticamente sul set fa' tutto un altro effetto. Fra l'altro, molte delle immagini confermano come davvero il film sia stato realizzato scena per scena e che spesso gli attori arrivavano sul set senza sapere cosa dover fare: c'è un momento in cui Lynch spiega a Laura Dern di dover correre sul set del remake del film 47 fino a rifugiarsi in una casa, alché l'attrice segue il dito del regista ed esclama stupefatta "oh, nella casa di Smithee? Adesso sì che sono spaventata!" 
E' bene sapere che l'extra LYNCH (two) visto nel cofanetto di IE non era anticipatorio di questo documentario in quanto nessuna di quelle scene è stata montata in questo film. Quest'ultimo, difatti, colpisce anche per la sua brevità (poco più di un'ora e venti). Ma l'opera del fantomatico blackANDwhite è una sorpresa soprattutto sul versante della messa in scena: montaggio non lineare, nessun apparente ordine degli argomenti trattati, niente di niente. La netta sensazione è quella di spiare Lynch nel suo ufficio (dove il regista spegne continuamente le sigarette sul pavimento!), nel suo laboratorio artigianale, nella sua casa (dove appende decine di post-it al muro, probabilmente le scene di IE, e siede di fronte ad essi in attesa dell'idea esatta per il montaggio delle scene), sul set. Un vero film d'indagine che non vuol capire il personaggio intervistandolo ma semplicemente osservandolo, vedere come parla con gli attori, osservare come si relaziona con il mondo. Il tutto oscillando tra bianco e nero e colori, angolazioni di ripresa inusuali, poche e precise didascalie.
LYNCH (one) è il documentario che tutti i fan di David Lynch vorrebbero vedere e tiene fede alle leggende (per lo più esagerate) che circolano sul grande autore. E ne alimenta un'altra: chi è il regista di questo documento? L'ultima scena (Lynch che dirige sé stesso, come detto nel post precedente) apre ancora un'altra leggenda tutta da scoprire.

10.3.09

blackANDwhite è David Lynch?

Sono finalmente riuscito a vedere LYNCH (ONE), il documentario del 2007 dedicato al regista di INLAND EMPIRE. Rimandando le considerazioni sul film ad un secondo momento, vorrei riportare a galla uno dei grandi misteri legati a quest'opera. 
Breve riassunto: quando il documentario venne annunciato, grande attenzione venne posta sul fatto che l'autore dell'opera è anonimo, ovvero si  nasconde dietro al nome blackANDwhite. Una serie di considerazioni vennero fatte su questo anonimato: più di tutto, ci si chiedeva chi poteva aver avuto un ascendente così forte su Lynch da poterlo seguire per ben due anni fuori e dentro il set di INLAND EMPIRE e perché tale tizio avrebbe voluto rimanere anonimo piuttosto che farsi forte di un'opera così particolare (che di certo rappresenta una tappa importante per la carriera di qualsiasi cineasta). Ovviamente, il primo pensiero che saltò alla mente di tutti fu: è Lynch stesso l'autore del documentario, ma per pudore o per falsa modestia preferisce non firmarlo. Allora intervenne Eric Basset, responsabile per la distribuzione di David Lynch, affermando: "Posso assicurarvi al 100% che non è Lynch il regista del documentario." A sostegno di questa tesi si poteva sottolineare come il blog ed il sito ufficiale della lavorazione del documentario mostravano un notevole sforzo artistico di certo non sostenibile da Lynch in pieno ciclo produttivo del suo film definitivo e più impegnativo. 
A tutt'oggi la domanda è rimasta aperta. blackANDwhite non è uscito allo scoperto e la visione del documentario non offre indizi. Tranne la scena conclusiva dell'opera stessa di cui potete vedere qui in alto due immagini. Vengono mostrate due soggettive: una è quella di David Lynch regista con tanto di troupe, l'altra di David Lynch intervistato (anche se sarebbe più corretto dire "indagato", considerando le ambizioni del film). Sembra proprio che autore e protagonista coincidano. La scena è affascinante non solo se la si ricollega alla carriera del regista (carriera nella quale il tema del doppio è da sempre presente e prepotentemente indagato) ma anche pensando al mistero legato al nickname blackANDwhite. Comunque la si veda, la sequenza assume un valore ambiguo proprio perché doppia: nel significato e nella rappresentazione. 

7.3.09

Omaggio grossolano

Su invito di kekkoz.

6.3.09

In Bruges - La coscienza dell'assassino

In Bruges di Martin McDonagh
(2008) USA

In Bruges è uno dei film più bizzarri che mi sia capitato di vedere negli ultimi tempi. Lo è per la sua genuina volontà di mischiare commedia, dramma e violenza (con tinte gore) in un'atomosfera fredda ed ovattata come quella della provincia belga, teatro di questo intreccio dal sapore quasi shakespiriano e il cui risultato finale è decisamente surreale. A tratti il film ricorda un qualcosa di Tarantino o dei Coen ma pur mantenendo un proprio stile genuino ed originale.
Il punto forte dell'opera è la grande trappola che il regista tende allo spettatore: all'inizio del film ci vien detto subito che i protagonisti sono due assassini in esilio a Bruges, in attesa che si calmino le acque. Una serie di avvenimenti, di battibecchi, addirittura una gag, ci faranno credere di poter ritenere simpatici ed affabili questi due uomini, salvo poi scoprire chi e come hanno davvero ammazzato. Da qui in poi, comunque, l'ironia sui fatti rimane ed anche piuttosto insistita pure sui momenti più tetri della vicenda, sviluppando una trama lucida e perfetta nella quale i colpi di scena non mancano (anche se più di colpi di scena, si dovrebbe parlare di una volontà del regista di disattendere puntualmente le aspettative del pubblico) e che si va incastrando perfettamente nell'ambiente medievale di Bruges. 
Ottimo tutto il cast anche se non è il protagonista Colin Farrell ad emergere più di tutti ma il magnifico Brendan Gleeson che con molto poco riesce ad esprimere praticamente tutto. Riguardo Ralph Fiennes, credo che in molti lo abbiano già detto ma è il caso di ripeterlo: il meglio di sé lo da' proprio nelle caratterizzazioni da co-protagonista, come in questo caso dove appare per la prima volta solo a metà film e nel giro di poche battute ipnotizza l'attenzione di tutti.
In Bruges propone un tipo di cinema che mi piace: mette in ballo principi e morale in un mondo che per definizione non dovrebbe averli, attraverso una regia dall'equilibrio saggiamente calibrato con l'obiettivo di costruire un crescendo emozionale notevole.

2.3.09

Hancock

Hancock di Peter Berg
(2008) USA

Nel mare di supereroi che si sono impossessati del grande schermo, quello interpretato da Will Smith (che come attore continua solo a migliorare) è volutamente sopra le righe: non ha identità segreta, è alcolizzato, è rabbioso, quando interviene in aiuto di qualcuno fa' più danni che altro. Il film racconta l'incontro tra l'eroe e l'esperto di pubbliche relazioni Jason Bateman (altro attore che ha molto da dire) che cercherà di rifargli un'immagine per farlo amare dal pubblico. A metà film, poi, c'è un colpo di scena notevole che ribalta l'intera prospettiva della pellicola. Da lì in poi si sfiorano i toni del dramma.
Quel che più rimane impresso di Hancock è innanzitutto la regia. Le scelte compiute da Peter Berg,  stridendo con le tipiche regie dei film con supereroi, fanno assumere a molte scene l'aspetto di un film di guerra in piena Los Angeles o ricordano spesso lo stile di un Michael Mann in vena di commedia. Inoltre, la velocità con cui vola il film (poco più di un'ora e venti) fa' apparire il tutto poco pretenzioso; per questo motivo, la grossolana assenza di una vera e profonda riflessione sul ruolo di un supereroe, delle sue responsabilità o delle scelte morali connesse alle sue capacità, non si sente più di tanto. E' certo un'occasione sprecata, specie se pensiamo che il film era stato progettatto per avere un impatto profondo sull'idea di questo particolare genere di cinema d'azione.