(2008) Ita\Fra
Senza aver paura di esagerare, mi sento tranquillamente sicuro di poter affermare che Il divo ridefinisce i confini del cinema italiano. E non mi sembra esagerato aggiungere che da qui a qualche anno si potrà parlare di prima e di dopo de Il divo, come fosse un anno zero, uno spartiacque tra quello che tradizionalmente chiamiamo cinema italiano e quello che verrà dopo quest'opera di Paolo Sorrentino. E che sia lui il regista di questo film non è un caso perché solo a lui poteva riuscire un'impresa del genere, solo il suo stile riconoscibilissimo poteva ideare un progetto così ambizioso e scaltro, solo il suo gusto surreale poteva mettere in scena determinate sequenze al limite del grottesco. Difficile, insomma, poter immaginare un altro regista dietro alla macchina da presa e questo credo sia il più grosso complimento che si possa fare ad un autore. A chi mi ha chiesto ingenuamente se Il divo sia migliore de Il caimano, rispondo che sono due film complementari ma diversi: Sorrentino va oltre le nobili pretese di Moretti di voler dipingere un'Italia devastata dall'ingresso sulla scena pubblica di un individuo che risponde al nome di Berlusconi; a Sorrentino non interessa tanto tirare le somme sugli effetti della politica di Andreotti ma gli interessa Andreotti stesso, la sua vita (pubblica e privata), la sua figura così enigmatica e complessa, a tratti spaventosa. Chi non ha mai visto un film di Sorrentino non può immaginare che razza di opera si troverà davanti: si parte con un monologo iniziale che mette in chiaro come verrà dipinto il protagonista, si prosegue con una sorta di incipit alla P.T. Anderson e si procede spediti attraverso salti temporali, rappresentazioni più o meno metaforiche dei fatti accaduti negli ultimi decenni italiani. Quel che viene a seguire è il personalissimo punto di vista del regista sulla 'spettacolare vita di Giulio Andreotti' e si badi a non cadere nel tranello: Sorrentino finge di voler restare imparziale ma ogni singolo momento è una netta presa di posizione non solo nei confronti dello scomodo protagonista ma di tutti coloro che lo hanno circondato, nel bene e nel male; il surreale rimane il tono di fondo: in una sorta di monologo che non esiste Andreotti si assume le colpe di tutti gli scandali italiani della storia recente, in un'altra scena ben più reale confessa al parroco di "aver commesso tanti errori nella vita ma la mafia mai". Sorrentino, infine, come sempre vuole far sentire la sua presenza e ci riesce senza mai urtare il pubblico ma anzi realizzando movimenti di macchina (alcuni dei veri e propri classici della sua cinematografia, come la mdp che dall'esterno di un mezzo di trasporto arriva all'interno come se ci passasse attraverso) pienamente funzionali alle atmosfere del film.
Un capolavoro italiano, di cui andare orgogliosi, nel quale spicca un immenso Toni Servillo (ma è tutto il cast ad essere eccezionale): si annulla completamente nel personaggio, lo caratterizza di sfumature, tic, modo di camminare che resteranno negli annali e riesce a pronunciare battute taglienti e sempre importanti con un tono che è l'essenza del personaggio stesso. Una menzione speciale al farsesco Pomicino di Buccirosso: "qua urge un concetto. Tu ce l'hai?"
Ad avercene di film così.