26.1.11

visioniINBREVE: Baciami ancora - Shadow - L'uomo nell'ombra

Baciami ancora di Gabriele Muccino.
Raramente si vedono film tanto ben confezionati quanto completamente vuoti di qualsivoglia idea o stimolo. E questo film è clamorosamente privo di qualsiasi intenzione e qualità; la cattiva riuscita della sceneggiatura si riflette perfino sulla regia del buon Muccino che fa dimenticare i fasti del apprezzabile L'ultimo bacio per ridurre tutto a macchietta, tutto ad estremizzazione dei suoi stilemi più classici, solo che qui naufragano tristemente verso il vuoto pneumatico di cui prima. E allora via al cast corale che urla dall'inizio alla fine come morsi da una tarantola, via alle stesse storie di sempre (ma basta con 'sti personaggi che mollano tutto e partono), via alla prevedibilità. La domanda è: perché? Il vero sequel de L'ultimo bacio era Ricordati di me, decisamente più riuscito di questa insulsa operazione commerciale che fa più danni che altro. Unico merito di Muccino è far lavorare la Impacciatore, brava ma trascurata dal cinema.

Shadow di Federico Zampaglione.
Il giovane musicista prestato al cinema ha divorato la lezione di un certo cinema horror anni '70 e Shadow, pur essendo figlio di quell'epoca, non appare per nulla anacronistico perché Zampaglione assimila quella storia del cinema horror e la fa propria, realizzando un'opera moderna, molto interessante e per nulla scontata. La sua qualità maggiore sta nel costruire una regia elaborata ed accattivante che sa dosare narrazione e velleità artistiche, il tutto mirando ad un preciso obiettivo e quindi non trascurando un elemento essenziale del cinema horror, cioè quello di proporre un forte punto di vista morale sulla contemporaneità. Tutto questo senza farsi mancare ferocia ed efferatezza ma quasi sempre fuori campo e con pochissimo sangue mostrato. Certo, la soluzione finale delude parecchio e getta una luce sinistra su tutto il resto del film ma fino agli ultimi cinque minuti Shadow rimane un riuscitissimo esempio di cinema di genere in Italia, cioè quello che l'Italia si ostina a non sapere o voler fare. Influenze esplicite del primo Dario Argento, specie nella seconda parte della storia, mentre a ben guardare si scorgono anche riferimenti ben più inaspettati, come un certo modo di muovere la macchina da presa proposto dalle opere di Sorrentino. 

L'uomo nell'ombra di Roman Polanski
La cosa più comune che ho letto in giro su questo film è che il regista ha realizzato un'opera d'autore senza nessuna velleità d'autore. Ed effettivamente, dopo averlo visto, la sensazione è proprio quella. Polanski, infatti, non si fa ingabbiare da una trama apparentemente banale per il suo cinema ma ci costruisce intorno tutta un'ambientazione, un'atmosfera ed un tono che la rendono non solo credibile nei suoi passaggi più azzardati (molti comportamenti del protagonista sono francamente discutibili) ma che gli danno modo di creare scene ed inquadrature bellissime, sfruttando al massimo i luoghi delle riprese. Ecco che allora la fotografia gelida, il mare sempre agitato, la spiaggia inumidita dalla pioggia, le linee nette di una casa, un traghetto che solca le onde, tutto questo si fa veicolo non solo della storia ma anche di un'idea fortissima di cinema che Polanski riesce a far emergere da una storia di spie e di potere. E Brosnan è sorprendentemente perfetto nel suo ruolo.

21.1.11

visioniINBREVE

My son my son, what have ye done? di Werner Herzog Strillatissima produzione di David Lynch (che sembra il tipo di produttore che ci mette i soldi e basta, poi possono fare quello che gli pare) il film di Werner Herzog è un'opera inconcludente e piuttosto infelice che non va a parare da nessuna parte. Dovrebbe essere la descrizione della discesa nella follia di un giovane attore che uccide la propria madre (con la quale ha un rapporto morboso) e poi si barrica in casa. Mentre la polizia assedia la casa, vari interrogatori a testimoni diretti ricostruiscono la lenta follia dell'individuo. La frammentazione della cronologia narrativa e il cast non di poco conto non aiutano a salvare l'opera dalla noia; peggio ancora, si percepisce l'evidente assenza di intenzioni del regista che probabilmente brancolava nel buio. La fredda fotografia e l'ironia latente sono gli unici appigli che aiutano lo spettatore ad arrivare fino alla fine. 

Nightmanre on Elm St. di Samuel Bayer Uno dei peggiori reboot della storia. La figura di Freddy Kruger e i buoni ricordi che ne avevamo vengono spazzati via da questo film insulso e scadente, di cui niente si salva se non l'attore nei panni del leggendario demone che però da il meglio di sé solo nei flashback. Un horror fuori da ogni logica commerciale ed artistica, anacronistico ed offensivo per il marchio creato da Wes Craven.

Happy Family di Gabriele SalvatoreL'ultimo film di Salvatores dichiara le proprie intenzioni fin dalla prima scena, quando il protagonista narratore dice di voler scrivere un film ma che non ha l'idea portante. Fondamentalmente Happy family è proprio questo: un pretesto ironico e catartico per giocare con le regole del cinema e della metaletteratura, nel quale Salvatores si diverte molto e mostra di essere a proprio agio. Pirandelliano fino allo stremo, la commedia è piacevolissima e divertente ed il regista tenta un paio di azzardi non da poco (un videoclip di immagini notturne, un montaggio isterico inusuale per il cinema italiano) come volesse togliersi degli sfizi a lungo sopiti. E nel farlo regala ottimi ruoli ad attori che non deludono, De Luigi in testa.

Brotherhood di Nicolo Donato Chiacchierata pellicola descritta come un "Brokeback Mountain nazista", Brotherhood è un'opera piacevolissima e per certi versi azzardata (c'è una scena di sesso omosessuale particolarmente lunga e dettagliata come non se ne vedevano da anni) che si realizza perfettamente nella messa in scena ma delude sul versante delle intenzioni. Se infatti la storia è molto ben raccontata e credibile, inducendo lo spettatore ad empatizzare con una storia d'amore impossibile ma bellissima proprio come fece Ang Lee, l'assunto finale (la violenza genera violenza) è abbastanza scontato e discutibile. La componente neo-nazista della storia appare quasi secondaria e funge da cornice a dei protagonisti molto ben scritti e altrettanto ben recitati.