27.12.08

The Mist

The Mist di Frank Darabont
(2007) USA

In un episodio de I Griffin, Stephen King veniva rappresentato come uno scrittore talmente ripiegato su sé stesso da trasformare qualsiasi oggetto in una minaccia per l'uomo pur di continuare a scrivere. Ho pensato a questo quando ho letto la trama di The Mist: un gruppo di persone rimane bloccata all'interno di un supermercato mentre fuori una fitta nebbia avvolge e uccide tutto ciò che incontra. Tralasciando ogni giudizio sul racconto scritto visto che qui si sta parlando del film, la buonissima resa della pellicola è da attribuire tutta a Darabont che si è occupato anche della scenegiatura. Darabont, si sa, ha già tratto ottimi film da alcuni dei migliori romanzi di King (Il miglio verde, Le ali della libertà) ma sembrava tenersi lontano dalle venature più horror dello scrittore americano. Stavolta sceglie quella via e va fino in findo: The Mist è un concentrato di tensione come non se ne vedevano da tempo, un abilissimo esempio di regia che vuole tenerti incollato alla sedia e con il cuore in gola fino alla fine. A guardar bene il film, si intuisce che Darabont ha ottenuto tutto ciò concentrandosi soprattutto sul nutrito gruppo di protagonisti, sulle loro paranoie e le loro debolezze, mettendo in scena quello che un pò tutti sappiamo ma che quando vediamo ci fà rimanere scossi: gli uomini, quando vengono terrorizzati e piegati dalla paura, farebbero di tutto pur di salvarsi e si affiderebbero a chiunque se questi gli promette la salvezza. Ogni riferimento a persone ed eventi accaduti negli ultimi anni in America come nel resto del mondo è, credo, per nulla casuale. Ecco, allora, che la macchina da presa non si allontana mai dai protagonisti, gli si incolla addosso cercando di cogliere ogni loro dolore, ogni loro spavento e sposta la sua attenzione sui 'mostri' solo quando le esigenze della sceneggiatura lo richiedono, sfruttando al massimo lo spazio ristretto dove si concentra l'azione e riportando fedelmente sullo schermo dei caratteri così complessi ma intuitivamente così facili come solo King sa descrivere. Darabont, alla fine, vuole andare oltre a ciò che King ha scritto e mette in scena un epilogo di suo pugno davvero disturbante, un atto agghiacciante e disperato, un finale cupo e nero come in America spesso non osano. Nessuna concessione alla speranza.
Non c'è da stupirsi, allora, se ancora una volta sono le allegorie più spietate a far emergere gli errori della società contemporanea: già The Village si era imposto come una delle migliori esposizioni sull'America post-11 settembre e The Mist non fà eccezione. Mi sembra, questa, la grande differenza tra il cinema americano e quello europeo: i primi preferiscono girare intorno alle cose e metabolizzarle a suon di parabole, in Europa si preferisce mettere in scena ciò che si vuol dire. Non sto dicendo che un metodo sia migliore dell'altro ma determinare quale approccio utilizzano diverse culture mi sembra faccia emergere pregi e difetti di una e dell'altra. Magari di questo torneremo a parlare.

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