29.10.09

Cartoline da Roma - 3 (fine)


24.10.09

Cartoline da Roma - 2

  • Se non lo avete capito, ho dovuto soccombere al mio problema medico rinunciando a qualsiasi partecipazione nell'ambito del Festival. Sono riuscito a vedere un solo film, a partecipare alle conferenze stampa di Clooney e della Streep dopodiché sono dovuto rimanere a casa. Tranne quando sono uscito per andare al pronto soccorso alle tre di notte. Roma di notte non si può spiegare, bisogna vederla.
  • Nonostante il tragico esito della mia trasferta proprio nell'anno in cui partecipavo per la prima volta come accreditato stampa, ho ancora qualcosina da dire.
  • A Festival concluso, si stanno già scatenando i balletti del successo o non successo. Sembra vincere la prima ipotesi, in base agli accrediti assegnati ed ai biglietti venduti. Io ho bazzicato poco l'Auditorium ma quelle poche volte ho visto una desolazione allarmante. Bar e ristoranti più che altro vuoti e davvero poca gente in giro, addetti ai lavori compresi.
  • Ho fatto una fila di mezz'ora per la conferenza stampa di George Clooney. Avete idea di cosa significa stare mezz'ora in attesa e dover ascoltare le chiacchiere dei giornalisti? Ad uno come me che ambisce ad entrare nella categoria, basta davvero quella mezz'ora in fila a farsi passare buona parte della voglia. Insopportabili!!!
  • George Clooney è il suo personaggio. E' affabile, è istrione, è come un personaggio dello spettacolo che non è Presidente del Consiglio (a proposito, il buon Clooney si guarda bene dall'esprimere un giudizio sul nostro premier). Però, contro ogni aspettativa, nessuno ha nominato Elisabetta Canalis durante la conferenza stampa, anche se le domande sceme ci sono state. Quasi tutte, a dire il vero. Clooney ha chiesto il rispetto di un limite che più che travalicare la sua privacy non fa altro che umiliare il mestiere del giornalista.
  • Meryl Streep è favolosa. Sembra arrivare da un altro pianeta. Ha l'aria di una svampita ma è evidente che un po' ci fa. Ha sopportato con grandissima pazienza una conferenza stampa funestata da problemi tecnici (mi hanno detto che le cuffie per la traduzione non funzionavano) e parlato con grande umiltà e soprattutto con la voglia di tenere come soggetto della discussione il suo più grande amore, il cinema. Nel farlo non ha risparmiato un paio di stoccate, ad esempio a Scorsese ("vorrei fare un film con lui ma solo quando Martin si occuperà di un vero personaggio femminile") o all'Accademy ("ricevere la nomination è gratificante perché sono i tuoi colleghi a concedertela, il meccanimo per la vittoria è invece molto più misterioso ed inafferrabile") mentre su Polanski non si sbottona più di tanto ("mi dispiace che sia in galera" e tutto qui).
Continua...

18.10.09

Up in the air (Rome FilmFest 2009)

Up in the air di Jason Reitman
Roma FilmFest 2009
CONCORSO

Riconoscibilissimo nello stile e nelle tematiche, Jason Reitman mette in piedi una nuova commedia ancora più amara e cinica, se è vero che stavolta le vittime del "soldato" Clooney le vediamo in faccia, le vediamo soffrire e disperarsi (e alla fine scopriamo che quelle persone sono vere, sono reali disoccupati) e talvolta reagire duramente. Il buon Clooney, uomo deputato al licenziamento di migliaia di persone, gira in lungo e in largo l'America forte del suo mestiere e della sua filosofia: mai nessun legame, sentimentale, amichevole o familiare che sia. Ovviamente, questo modo di vedere le cose subirà un bello scossone con l'arrivo in scena di... Tutto molto schematico e banale sembrerebbe, in realtà Reitman porta avanti la storia sfuggendo ogni possibile previsione e anzi opponendo un maggiore pessimismo negli eventi e nel finale (laddove in Thank you for smoking il protagonista tornava a lavorare con un rinnovato rispetto per sé stesso, qui Clooney si becca una batosta non da poco e riprende a lavorare con un pesante senso di sconfitta e condanna).
Reitman a questo punto può essere definito regista delle contraddizioni. Il suo cinema pretende di mostrare individui che sono la perfetta incarnazione della società moderna, magari figure professionali crudeli e poco conosciute caratterizzate da una disarmante umanità e che proprio per questo cadono in contraddizione. Questa contraddizione l'autore la lascia emergere attraverso un tono da commedia sempre molto serrato, facendo molto ridere e dosando nei momenti giusti il cinismo e le americanate (e sì, le sequenze di scene con musichetta strappa lacrime rimangono pur sempre un'americanata).
Sarà anche vero che Reitman tradisce la voglia di voler piacere a tutti i costi ma il risultato finale non pregiudica nulla e comunque Up in the air rappresenta una bella evoluzione del suo cinema che sembra crescere di opera in opera. E Clooney porta a casa una delle sue migliori interpretazioni.

16.10.09

Cartoline da Roma - 1

  • Nota personale: sono zoppo. Quindi, se vi aggirate dalle parti del Rome FilmFest, quello che si aggira strisciando fra notevoli espressioni di dolore sono io. Ammesso che riesca ad arrivarci all'Auditorium.
  • Esattamente come l'anno scorso, nella giornata inaugurale del festival fervono ancora molti preparativi. La zona dell'Auditorium sembra ancora un cantiere a cielo aperto e molto poco frequentato. Però, dopo 3 anni, hanno cambiato un po' le cose, quindi il vostro bar di fiducia non sta più dove stava bensì di fronte!
  • Onore al merito alla prima edizione davvero curata da Rondi: l'assurdo meccanismo che prevedeva il ritiro dei biglietti per i film anche per gli accreditati (perfino quelli stampa!) è stato abolito. Questo dovrebbe significare dimezzamento delle file ai botteghini. O aumento delle file alla rush line?
  • Causa problema fisico di cui prima, per ora sono riuscito a vedere praticamente nulla se non la conferenza stampa del film d'apertura Triage. Sarei un'ipocrita bugiardo se non vi dicessi che quando mi sono trovato al cospetto di Christopher Lee una voce dentro di me ha esclamato "Quello è Sauron!". Fra le altre cose, una ragazza ha allungato l'intera trilogia al signor Lee per farsela autografare. Logico, direte voi. Ma era il libro, non il film!
  • Danis Tanovic è un mito. Ha un vocione affascinante, veste in maniera molto più antica di Christopher Lee e a termine della conferenza stampa è sceso in mezzo ai comuni mortali a scambiare quattro amorevoli chiacchiere.
  • Poca gente in giro. Il primo red carpet ha attirato ben pochi curiosi. Non ha aiutato il freddo glaciale che attanaglia la capitale. Non ha aiutato l'assenza di Colin Farrell.
  • Confermo le prime impressioni: il programma è molto interessante ma soprattutto ben organizzato. Meno film ma più ordine.
  • Ed ora il capitolo immancabile di ogni anno: la borsa per gli accreditati. Quella di quest'anno è molto bella nonché comoda, sembra davvero un buon pezzo di artigianato. Produzione limitata, l'esterno è ricavato da locandine riciclate. Il che è un bene se vi capita quella con Cate Blanchette, Mickey Rourke, Richard Gere. Ma se vi capita quella con Zac Efron, difficilmente avrete il coraggio di andarci in giro. Vi lascio indovinare quale mi è capitata...

11.10.09

Videocracy - Basta apparire

Videocracy di Erik Gandini
(2009) Sve\Dan\UK\Fin\Ita

Ne hanno fatto un gran parlare a Venezia. Hanno censurato il trailer su ogni rete del duopolio televisivo italiano. Vedo, quindi, questo Videocracy con grandi aspettative per poi ritrovarmi davanti un documentario un pò così, quasi noioso in molte sue parti e che per troppo poco riesce davvero a centrare il bersaglio.
La "videocrazia" del titolo è quella che l'autore vuole mostrare con la sua opera, ovvero il gusto culturale e becero che la tv commerciale del "presidente" ha imposto alla massa italiana.(non so perché ma Gandini non pronuncia mai il nome di Berlusconi, si riferisce a lui come "il presidente" usando una certa spocchia che ricorda il "principale esponente dello schieramento a noi avverso" di Veltroni). Partendo dal primissimo esempio di tv spazzatura, ricostruisce (frettolosamente) nascita e consolidamento dell'impero mediatico berlusconiano, si sofferma (un po' meno frettolosamente) su uno dei mostri generati, un ingenuo operaio che sogna il successo senza avere nessun tipo di talento, poi passa a uno dei grandi burattinai della televisione italiana, quel monumento all'imbecillità che è Lele Mora e che proprio così ci appare (qualcuno dovrebbe andare a chiedere a Berlusconi se conferma di essere intimo amico di questo tizio che si vanta di essere mussoliniano e di avere sul cellulare la suoneria di 'Faccetta nera' accompagnata da immagini di svatiche e croci celtiche); il passo successivo (frettoloso) è la fotografa ufficiale delle feste sarde dei "vips" (premier incluso) ed ecco che ci si aspetta qualcosa di esclusivo e invece nulla. Gran finale è l'apoteosi di questo sistema malato: Fabrizio Corona, degno parto squilibrato di una grande macchina squilibrata, forse l'esempio per eccellenza della mentalità italiana corrente; qui Gandini procede molto meno frettolosamente e indugia parecchia sulla figura di questo imprenditore dalla scarsa morale, indugia pure nel riprenderlo nudo e vanitoso. Perché? Perché effettivamente a questo punto il documentario sembra acquistare un senso: l'intero ragionamento affrontato sembra avere qui il suo apice, nell'immagine di un mostro che non è nato per caso ma che è embrione stesso della "videocrazia" di cui l'Italia è succube, vittima e carnefice al tempo stesso. Le ultime immagini, per quanto stiracchiate, concludono in maniera ottimale il discorso.
Però il risultato è alquanto deludente. Si ha l'impressione di aver perso una grande occasione, un'intuizione coraggiosa che finisce sprecata e che potrebbe apparire addirittura ostica ad un pubblico a cui sfugge il meccanismo "videocratico". Alla fine Gandini dice cose già note rivolgendosi ad un pubblico selezionato e non compiendo una vera e propria inchiesta con fatti e dati capaci di colpire lo spettatore. Sarà per la prossima volta, consoliamoci con il sempre attuale Il caimano.

8.10.09

Il nuovo horror in tv?

Tralasciando un giudizio di qualità vero e proprio che meriterebbe un post più approfondito, vorrei appellarmi al popolo di internet per colmare una mia probabile lacuna.

Harper's Island, serie americana attualmente in onda su Raidue, è il primo serial a trasportare in televisione i meccanismi dell'horror moderno?
Mi spiego. Con horror moderno intendo tutto ciò che è venuto dopo Scream, ovvero quello stile horror tipico degli anni '90 che si è svestito dei temi e dei linguaggi americani tipici del genere applicando un nuovo modello, apparentemente molto più pop e leggero ma in realtà ponendosi obiettivi del tutto nuovi. Laddove il "vecchio" cinema horror si sforzava di essere una critica delle ansie sociologiche contemporanee, dopo l'avvento di Scream e simili (So cosa hai fatto, per dirne uno) sembrava aver preso una piega molto più autoriflessiva, più concentrata su sé stessa che sull'esterno: infondo, la trilogia di Scream faceva horror ribaltando gli stessi meccanismi tipici del genere e ritorcendoli contro la trama ed il pubblico e qualcosa di ancora più incisivo il buon Wes Craven l'aveva già tentata con il sottovalutato New Nightmare. Da allora questo nuovo filone è proliferato perdendo ogni controllo (e generando anche numerose parodie) ed imponendosi come "new wave horror". Ecco, Harper's Island ha letteralmente preso questi gingilli e li ha trasposti in televisione, applicando la presunta banalità dei film dell'orrore moderni alla scrittura seriale, producendo qualcosa di effettivamente nuovo per la televisione. Dico nuovo, e qui torniamo alla domanda di cui sopra, perché davvero non ricordo altri serial che abbiano tentato qualcosa del genere. L'horror c'è sempre stato in tv (X-Files fra i più recenti) ma si trattava sempre di trame autoconlusive, di omaggi, di esperimenti; con Harper's Island l'horror moderno diventa il vero e proprio protagonista degli episodi in una storia spalmata su 13 episodi (la stagione dovrebbe rimanere unica).
Sono io che non ricordo precedenti o davvero Harper's Island è il primo?

4.10.09

Bastardi senza gloria

Inglorious Basterds di Quentin Tarantino
(2009) Usa\Ger

Detto da uno che ha sempre avuto da ridire su Tarantino (fatta eccezione per Kill Bill) può sembrare ridicolo ma Bastardi senza gloria è un bellissimo film di Tarantino ma non alla Tarantino. Il regista cinefilo, infatti, si libera un po' di quella noiosa zavorra citazionista serie-b (che a me è sempre sembrato il suo limite e a molti altri la sua forza) per realizzare forse la sua storia più compiuta e matura, alla Jackie Brown, dove c'è una trama molto più esile del solito ma pur sempre una storia che conduce dal punto A al punto B senza divagazioni e senza perdere la concentrazione e puntando dritto al tipico accumulo di emozioni e tensioni di Tarantino, con la differenza che stavolta si va dritti all'esplosione di questo accumulo, esplosione densa di metafore e significati evidenti e non per questo banali. L'ennesimo atto d'amore del regista verso il cinema consiste proprio nella vendetta della settima arte contro i regimi totalitari che soffocano (fra le tante cose) lo spirito creativo: è il cinema stesso ad essere "la vendetta ebrea" richiamata nella storia, è davanti e dietro uno schermo cinematografico che si consuma il bagno di sangue più liberatorio che si sia visto dai tempi di Dogville. E' qui sta un'altra nuova maturazione di Tarantino: la violenza crudele, esibita, farsesca, diventa vittima di sé stessa e brucia il sottilissimo confine tra vittima e carnefice nella bellissima scena ambientata nella saletta di proiezione, dove un gioco di sguardi tra Shosanna e il nazista sul grande schermo ci costringe a ricordare che anche noi stiamo guardando un grande schermo e stiamo empatizzando con gli assassini, stiamo esultando davanti a carneficine di massa (lezione già impartita da Haneke con il suo Funny Games). E se Shosanna comprende che il suo estremo sacrificio è pericolosamente vicino a quello dei suoi aguzzini, altrettanto noi non possiamo sottrarci a questa massacrante riflessione. Anche per questo Bastardi senza gloria non può essere etichettato come film di guerra (ma questo vale per tutto il cinema di Tarantino, difficile da etichettare) e va ben oltre la retorica di ebrei contro nazisti: il regista, per sua stessa ammissione, non si sottrae al gioco che vuole l'autore di un'opera propositore di un messaggio, per quanto ben nascosto, nella sua messa in scena; anzi, stavolta probabilmente lo spiattella molto più esibito e sfacciato senza paura di cadere in contraddizione, incamerando la lezione di Arancia meccanica e tutto ciò che ne è venuto dopo. Le scene magnificamente costruite fanno tutto il resto (il primo, inquietante capitolo è da annali del cinema) e l'unico difetto, il solito, è quello della dilatazione esagerata di certi momenti che finiscono con il nuocere all'exploit conclusivo.
Prima dei titoli di coda, due grandi momenti: il colpo di scena che sovverte la storia (il cinema può anche questo e grazie all'autore per avercelo ricordato ) e la tenera confessione di Tarantino messa in bocca al personaggio principale, frase conclusiva dell'intera storia: "questo potrebbe essere il mio capolavoro."

Sono aperto al dibattito!

2.10.09

L'artista

El artista di M. Cohn e G. Duprat
(2008) Arg\Ita

Finalmente esce in sala L'artista. Visto ormai un anno fa al Rome FilmFest, ne serbo un grande ricordo. Nel link il post di allora.