6.3.10

District 9

District 9 di Neill Blomkamp
(2009) Usa\New Zeland

Eccolo qua il vero outsider degli Oscar 2010, in una certa maniera molto più anomalo di Bastardi senza gloria. E' District 9 la vera nemesi di Avatar, nel senso che entrambi narrano in un certo modo la stessa cosa ma con risultati decisamente diversi. Mentre Avatar è banalotto e scontato ma si salva per essere un progetto d'intrattenimento che sfrutta un nuovo modo di fare cinema, District 9 ha una messa in scena più classica ma presupposti molto più virtuosi ed interessanti. L'idea originalissima è di narrare i problemi dell'integrazione, dell'immigrazione e della diversità fra razze in un luogo che di questi problemi ne ha avuti parecchi (Sudafrica) e da un punto di vista decisamente anomalo, quello di una gigantesca popolazione aliena che si ritrova bloccata a Johannesburg perché non riesce più a mettere in moto l'astronave per tornare a casa e per questo motivo deve integrarsi con gli abitanti del luogo. Il problema è che gli uomini finiranno per ghettizzarli in un "district 9" proprio come i neri lo erano in un "district 6" durante l'apartheid. Questo splendido corto circuito tematico si fonde alla storia del protagonista, un uomo sgradevole e razzista che si ritrova invischiato in qualcosa di più grande di lui e che ben presto passerà dall'altra parte, quella dei discriminati, dovendo rivedere per sempre le sue priorità ma non per questo migliorandosi come persona. Viene dunque soddisfatta la sete di cinema d'azione per il pubblico meno esigente ma è altrettanto saziata la metafora politica della vicenda, che però va lentamente scemando verso la fine lasciando lo spettatore solo con le sue considerazioni. 
Il regista sceglie di raccontare tutto ciò con uno stile documentaristico che forse non è esattamente la scelta più felice anche se comprensibile: il tutto dà all'opera un'aurea di autenticità, non tanto ai fatti narrati quanto alle dinamiche che si scatenano in determinate situazioni. Ma ad un certo punto si avverte confusione sulla realtà oggettiva proposta dal regista e quella ipoteticamente documentata dalle videocamere, tant'è che quando nel film arriva il momento di far prevalere la prima sulla seconda ci si sente ulteriormente forzati ad accettare un "patto" che ha già richiesto un bello sforzo da parte dello spettatore. Rimane comunque un film interessantissimo e per nulla banale, con degli effetti speciali (curati dalla Weta di Jackson) capaci di proporre un'interazione tra uomini e creature digitali che ha un qualcosa di simpaticamente vintage. 

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