28.4.08

Lo hobbit: c'è il regista

Finalmente c'è un contratto per la lavorazione del prequel de Il signore degli Anelli tratto dall'omonimo romanzo di Talkien, Lo hobbit. E c'è anche il nome del regista su quel contratto: Guillermo del Toro, già vicino al fantasy come nell'ottimo Il labirinto del fauno. Peter Jackson rimarrà dietro le quinte (come annunciato) e la sua Weta si occuperà degli effetti speciali. Il regista del Toro ha già dichiarato di aver avviato i contatti con gli attori che hanno preso parte a Il signore degli Anelli e che compaiono anche nel libro Lo hobbit, uno su tutti il Gandalf di Ian McKellen, per rimanere fedele all'immaginario cinematografico creato da Jackson.
Come molti già sapranno, il libro narra le vicende che hanno condotto Bilbo Baggins all'incontro con Gollum e al ritrovamento dell'Anello, durante una spedizione condotta da Gandalf. Sembra che il contratto firmato da Guillermo del Toro preveda ben due film: non si sa se Lo hobbit sarà spezzato in due o se verrà realizzato quel fantomatico film che sta tra Lo hobbit e Il signore degli Anelli di cui si era già parlato.

27.4.08

Se mi lasci ti cancello

(2004) USA

Grande, grandissimo Michel Gondry: la sua poetica originalità si sposa con il talento narrativo visionario di Charlie Kaufman per produrre un'opera in bilico tra sogno e realtà dal profondo significato. La storia di due innamorati che si odiano a tal punto da volersi cancellare l'uno dalla mente dell'altra è solo l'incipit di una storia complessa e delicata, dove i sentimenti umani abbracciano la fantasia dell'intelletto, dove la memoria e il ricordo sono il perno di un universo composto da anime sensibili che si sfiorano, si attraggono, si seducono, si abbandonano per non fare più ritorno. Come approcciarsi al dolore? Come comprendere che anche dalla più feroce delle ferite può nascere una cicatrice che sarà lì per sempre a farci rivivere certi dolori ma con una sana e consapevole nostalgia? L'esperienza non è mai un male e in pochi a questo mondo ne comprendono il catartico potere. Saper afferrare questa intuizione significa intascarsi le chiavi per godere al meglio di tutta la poesia che la vita ha da offrire, cancellando dal vocabolario una delle parole più viscide e subdole: rimpianto.
Michel Gondry destreggia tutto ciò con una dualità fatta di mestiere artigianale e sfrenata fantasia; accusa un pò di lentezza nel non poter esattamente tirare fuori dalla testa tutto ciò che desidera, dovendo confrontarsi con Kaufman alla sceneggiatura che di certo può causare molti grattacapi anche al più esperto dei registi (L'arte del sogno, in questo, sarà molto più efficace perché sarà l'esplosione pura e totale di Gondry); ma passa tutto in secondo piano in un susseguirsi di avvenimenti difficili da separare l'uno dall'altro, infatti si ha la netta sensazione di non guardare scene ciascuna fine a sé stessa ma componenti un tutt'uno di grande impatto. E il regista gestisce al meglio un cast solo apparentemente mal assortito e inadeguato.
Un film che è una grande lezione di cinema e di vita.

23.4.08

Cannes 2008: il programma

Ufficializzate la partecipazioni al 61.mo Festival di Cannes. Parliamo del fronte nostrano: due film in gara, Il divo di Paolo Sorrentino (sulla figura di Andreotti) e Gomorra (sulla camorra che deturpa il napoletano) di Matteo Garrone, due film quindi fortemente ancorati alla realtà, diretti da due autori abbastanza giovani e che hanno raccolto molti consensi negli ultimi anni e infine due film che vedono entrambi la presenza di Toni Servillo (ne Il divo è protagonista, Gomorra è film corale e quindi la sua partecipazione è minore) che si consacra così uno dei più grandi attori italiani contemporanei. Fuori concorso il nuovo film di Marco Tullio Giordana, Sangue pazzo, mentre un altro italiano sarà presente come giurato: Sergio Castellitto, presieduto da Sean Penn. Tra gli altri film in gara, c'è anche Palermo Shooting di Wim Wenders ambientato nella città siciliana. Poca rappresentanza americana quest'anno: Changeling di Clint Eastwood, Che (film su Che Guevara) di Steven Soderbergh e l'atteso esordio alla regia di Charlie Kaufman, Synecdoche, New York con Philip Seymour Hoffman.
Il programma promette proprio bene e per quanto mi riguarda attendo con grandi speranze il nuovo lavoro dei fratelli Dardenne, Le silence de Lorna. Confermate, invece, le anteprime mondiali del nuovo Woody Allen (Vicky Cristina Barcelona) e l'attesissimo Steven Spielberg (Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull). Nelle proiezioni di mezzanotte sarà presente anche il film di Jennifer Lynch (prodotto dal padre David e non è da escludere una sua presenza) Surveillance, mentre altrove spunta anche il nuovo Wong Kar Wai (Ashes of time redux).
Presentazione completa e ufficiale qui.

Lynch ispira Cannes

E' stato presentato ufficialmente il poster della 61.ma edizione del Festival di Cannes realizzato da Pierre Collier. L'autore ha dichiarato di essersi chiaramente ispirato al talento di David Lynch, al quale il poster è un omaggio. L'immagine stessa dovrebbe fornire il tono dell'ormai prossimo festival, il cui programma verrà presentato oggi in una conferenza stampa.

22.4.08

La famiglia Savage

The Savages di Tamara Jenkins
(2007) USA

La famiglia Savage è un'opera piuttosto tradizionale: vuole prendere un paio di personaggi dalla vita in frantumi (un fratello e una sorella ciascuno a fare i conti con i fallimenti della propria vita e con il fantasma di un'infanzia violenta e difficile) e un dramma familiare al quale sono costretti a dedicarsi (un anziano padre ormai sempre più malato e al termine della vita). E Tamara Jenkins sa fare bene il suo lavoro, specie per quanto riguarda la scrittura di una solida sceneggiatura che ha due punti forti: un incipit efficace che con l'espediente di una lettera scritta con voce fuori campo introduce in pochi secondi tutti i personaggi della storia e il loro passato; un lavoro accurato sulle azioni dei personaggi grazie al quale allo spettatore non viene imboccato tutto e i sentimenti dei protagonisti non emergono da verbosi dialoghi ma soprattutto da ciò che fanno e come lo fanno. Il film, poi, ha una fortissima dose di malinconia, i temi trattati sono particolarmente toccanti ma pur sempre affrontati con il massimo tatto e con quella leggerezza da commedia che non è offensiva e né sminuisce i problemi. Ma il film rimane nella media: si sorride, si riflette ma probabilmente non rimarrà molto nella memoria a lungo termine degli spettatori; forse perché per tutto il tempo la regia sembra dover compier quel guizzo necessario ad ergersi sopra la media ma ciò non avviene ed è un gran peccato. In compenso, le interpretazioni di Laura Linney e Philip Seymour Hoffman (in lingua originale) sono fantastiche e valgono da sole l'intero film.

21.4.08

La ragazza del lago

La ragazza del lago di Andrea Molaioli
(2007) ITA

Sembra di vedere la storia di Laura Palmer all'italiana: le similitudini ci sono e d'altronde subiamo da troppo tempo l'immaginario americano per non lasciarlo filtrare nelle nostre storie. Ma la cronaca italiana, soprattutto per quanto riguarda il nord dell'Italia, ha sempre dimostrato di non avere nulla da invidiare al resto del mondo e La ragazza del lago è un film che prende spunto da un assassinio per raccontare un'Italia che è un pò quello che è. Il protagonista è un monumentale Toni Servillo che dà anima e corpo ad uno dei più affascinanti personaggi degli ultimi anni di cinema italiano, un rude commissario che porta scolpite sul viso le rughe di vent'anni di lavoro alla omicidi e di un dolore intimo e familiare. Intorno a lui si muovono i collaboratori e gli abitanti del piccolo centro dove si consuma l'omicidio ed è a questo punto che il film si fa brillante: lo schema di indagine che viene avviato è piuttosto particolare, il commissario non apprende mai le informazioni di cui ha bisogno dal diretto interessato ma sempre da qualcun'altro; ad esempio, per conoscere il rapporto tra un padre ed un figlio malato, si rivolge ad un altro personaggio che vive nella stessa condizione. In tutto questo, una volta tanto appare fondamentale la caratterizzazione provinciale degli attori: non solo il forte accento dei protagonisti è del tutto funzionale alla storia ma anche la recitazione a denti stretti, di cui tanto ci lamentiamo in Italia, stavolta acquista significato, aggiunge ancora più dolore ad una storia di per sé sanguinante.
Il film scorre via velocissimo a tal punto che quando arriva la soluzione del mistero quasi non ce lo si aspetta; solo dopo ci si rende conto che probabilmente la storia non era altro che un pretesto per raccontare di un paese troppo chiuso nelle sue paure, nelle sue pochezze umane, per riuscire a compiere un passo avanti. La colonna sonora è bellissima e quel misto di quartetto d'archi e campionature elettroniche si sposa alla perfezione alla fotografia fredda e lucida che ci accompagna in questo mistero; il cast non delude le aspettative, neanche i ruoli minori e il regista mostra una padronanza della macchina da presa non indifferente.
Davvero un gran bel film, ancora più notevole se si pensa che è un esordio.

19.4.08

David 2008: i premi

Asso (quasi) piglia tutto è La ragazza del lago, esordio alla regia di Andrea Molaioli, che si aggiudica 10 premi (fra l'altro al regista riesce l'impresa di aggiudicarsi sia il premio da miglior regista esordiente che da miglior regista!). Grossa delusione per Caos calmo che dall'alto delle sue 18 candidature porta a casa solo tre premi: miglior attore non protagonista (A. Gassman), migliori musiche (Buonvino), miglior canzone originale (I. Fossati). Azzeccato il premio a Margherita Buy (miglior attrice protagonista) e Alba Rohrwacher (miglior attrice non protagonista) per il bellissimo Giorni e nuvole di Soldini. Premi tecnici a I vicerè, "David giovani" a Silvio Muccino. Miglior film straniero: Non è un paese per vecchi. Non avevo dubbi al riguardo e chissà in quanti capiranno il tono di questa mia battuta!
Lista premi sul sito ufficiale.

18.4.08

Spielberg nel sociale (network)

Sembra che nella sua infanzia Steven Spielberg abbia avvistato parecchi oggetti volanti non identificati e spettri; apparizioni che hanno segnato anche la sua carriera e che lo coinvolgono tutt'oggi: l'ultimo suo avvistamento sarebbe avvenuto poco tempo fa in una casa coloniale trasformata in hotel in Texas.
Che tutto questo sia veritiero o no è difficile a dirsi, fatto sta che se da una parte Spielberg negli ultimi anni ha leggermente abbandonato il filone fantastico, dall'altra ha sempre coltivato questa sua mania, ad esempio nei videogiochi (mitico The Dig) ed ora nel social network. Il condizionale è d'obbligo ma Spielberg starebbe per lanciare un sito a metà fra Youtube e Facebook e monotematico, ovvero tutto dedicato a contenuti paranormali: gli utenti potranno condividere con il mondo intere le proprie esperienze, i propri avvistamenti di Ufo o fantasmi attraverso filmati o fotografie. Già è facile prevedere l'arrivo a frotte di buontemponi che creeranno parodie e falsi d'autore, ma tra le altre cose sembra che Spielberg stesso farà upload di suoi personali video inediti su questo nuovo social network, il cui nome si vocifera sia GhostTown!
Se tutto questo è bufala o meno verrà rivelato presto: il social network sarebbe già pronto al lancio nel giro di pochi mesi.

17.4.08

X-Files 2: il titolo

Chris Carter ha ufficializzato il titolo del nuovo film targato X-Files ed ai fan della serie ricorderà certamente qualcosa. Ebbene, ecco il titolo: X-Files - I Want To Believe (ricordate il poster nell'ufficio di Mulder, vero?).
Abbastanza banale ma ammetto che nel leggerlo ho avuto un brivido niente male.

16.4.08

The King

The King di James Marsh
(2005) Usa/Uk

E' questo un film passato pressoché inosservato pur essendo uscito in un periodo in cui la stella di Gael Garcìa Bernal splendeva parecchio. Certo, i motivi di tale buco dell'acqua ci sono: il film è particolarmente lento e a tratti non rispetta alcun canone del cinema tradizionale, sceglie una storia difficile in cui lo spettatore trova ardua l'identificazione e soprattutto sceglie la via del grottesco, per cui nei momenti più tesi e drammatici del film c'è a fare da contrappunto un tema musicale piuttosto armonioso. Quelli appena detti potrebbero essere motivi vincenti per una pellicola, ma The King non riesce a raggiungere gli obiettivi che si prefigge: le relazioni fra i personaggi risultano essere piuttosto oscure, non si capisce perché fanno quello che fanno; perché la figlia di William Hurt dovrebbe sopportare per amore tutto quello che le accade? Non solo ma sembra che il regista non riesca a prendere neanche una posizione precisa nei confronti dei protagonisti. Come comportarsi con lo stesso William Hurt? Il suo è puro fanatismo religioso alla stregua del fondamentalismo o bisogna compatirlo per le disgrazie che lo toccano? E se è per questo non si capisce neanche tanto odio del figlio per il padre. Un abbandono non può giustificare tutto quello che accade.
In tutto ciò ci sono belle intuizioni, però. Lo sviluppo della trama sarà sì artificioso ma il modo in cui viene mostrato il protagonista è ottimo: non sai mai cosa aspettarti da lui, quale sarà la sua prossima mossa, non sai se patteggiare con il suo dolore oppure odiarlo perché incapace del perdono. E il cast è azzeccatissimo: William Hurt dove lo metti fa scena, Bernal è in un ruolo del tutto inedito per lui (e non delude) e Laura Harring, imbruttita dai tempi di Mulholland Dr., cerca di dare il meglio nei limiti del ruolo.
Il titolo del film si spiega in una scena dove il delirio di onnipotenza del protagonista raggiunge l'apice.

14.4.08

Prese di posizione extra-cinematografiche

Oggi ho visto in anteprima un film horror niente male. Narra di una comunità che dopo una notte piuttosto agitata, si risveglia e scopre di essere tornata indietro nel tempo di 15 anni: stesso presidente del consiglio, stessa classe dirigente, uguali obiettivi, uguali programmi, medesimi errori grotteschi. Di notevole impatto il colpo di scena finale: la comunità, con grande stupore, scopre di essere direttamente responsabile di tale disastro temporale.
Da domani in tutta Italia. Non potrete perderlo. Davvero non potrete.

Capote - A sangue freddo

Capote di Bennett Miller
(2005) Usa/Can

E' un film abbastanza freddo, sia nelle intenzioni che nel risultato. Dove per intenzioni si intende la volontà di virare l'atmosfera su sfumature piuttosto grigie e anonime, con l'obiettivo di non dare alcun colore ad una storia di per sè nerissima; dove per risultato si intende la scarsa capacità del film di farti entrare appieno nella storia perché non riesce a dosare a sufficienza tutti gli elementi diversi che compongono la trama ed eccedendo nel voler far capire tutto al pubblico senza dargli alcun margine d'intuizione. Fatto sta che Capote è una piacevole sorpresa in quanto prende le distanze dall'ansia da biopic che sembra aver investito la Hollywood degli ultimi anni e pur volendo raccontare una delle figure più carismatiche ed eclettiche dell'America, non ne è una sterile biografia: non racconta vita, morte e miracoli di Truman Capote ma ce lo presenta già all'apice del successo e ci racconta i quattro anni più critici della sua vita, ovvero quando inizia a raccogliere materiali per la scrittura del libro A sangue freddo e avvia una morbosa frequentazione con un assassino condannato a morte. Il film, poi, non si vuol solo soffermare sul lato oscuro di uno dei più grandi scrittori d'America ma su come entrambi i protagonisti (Capote e l'assassino Smith) abbiano uguali origini, provengano dallo stesso background. Sono entrambi figli della stessa America ma a ciascuno dei due sono state offerte diverse possibilità. Portando a diversi risultati.
L'intero film si poggia tutto sulla monumentale interpretazione di Philip Seymour Hoffman che si annulla completamente dietro gli occhiali e la buffa voce di Capote, riportando in vita le sue emozioni, le sue paure, il suo terrore d'essere dipinto come diverso e la sua voglia di essere accettato. Fin troppo facile l'Oscar a lui assegnato in quest'occasione ma non c'era davvero di che tentennare. Uno dei migliori attori contemporanei al mondo.

12.4.08

L'arte del sogno

La science de réves di Michel Gondry
(2006) Fra/Ita


Raramente ho visto così tanta poesia in un film solo. E dico 'visto' non a caso perché la poetica di Gondry non sta solo nella storia e nei dialoghi ma anche e soprattutto nelle immagini: nel come sa rendere visuale tutto ciò che gli passa per la testa, anche i sentimenti che sono ciò che più c'è di intangibile. L'arte del sogno richiede uno sforzo non da poco per essere visto ma alla fine ci si rende conto che tutto ciò che doveva arrivare è arrivato piano ed in silenzio, senza fatica ma anzi introducendosi lentamente sotto pelle, tra un sorriso di allegria e una smorfia malinconica. Si gode e si soffre insieme ai protagonisti perché nonostante siano eccessivi e lunatici e quindi lontani da una maggioranza che popola il mondo, si vorrebbe vivere le cose esattamente come loro. La chiave che il regista utilizza per ottenere tutto ciò è squisitamente funzionale alla storia: niente effetti speciali pur essendo il film pieno zeppo di momenti onirici ma piuttosto concentrazione assoluta sul lavoro artigianale, fatto di elementi di scena costruiti con stoffa e materiali di scarto e contando sulle illusioni ottiche che oltre ad ingannare il cervello umano, producono anche quel magnifico effetto di magia che risveglia un pò il fanciullo di tutti gli uomini. La focalizzazione su questi punti è tale che Gondry volutamente ignora altri elementi cinematografici come ad esempio un montaggio classico, preferendogli tagli e riprese con macchina a mano che quasi rimandano al Dogma danese. Bernal e la Gainsbourg, poi, sono calatissimi nella parte: lui con quel viso stralunato dà anima e corpo ad un personaggio fiabesco, lei molto più rude e rigida mantiene le distanze preferendo la realtà al sogno per non soffrire più di tanto.
E' la poesia che si traduce in immagini, si fà cinema e attraverso il dettaglio colpisce dritto al cuore. Una vera perla da custodire.

11.4.08

Prime anticipazioni su Cannes 2008

Prime notizie su Cannes 2008 (dal 14 al 25 maggio). Innanzitutto, sembra che quella voce circolata negli ultimi tempi sia da ritenersi ormai fondata: il film che aprirà il festival francese sarà proprio Indian Jones and the Kingdom of the Crystal Skull di Steven Spielberg, il grande ritorno dell'archeologo più amato del cinema. Per quanto riguarda le Lezioni di cinema, l'ospite d'onore di quest'anno sarà Quentin Tarantino che per l'appunto intratterrà la platea con il suo personale punto di vista sul cinema. Retrospettiva omaggio, invece, per Jim Jarmusch: l'eclettico regista americano riceverà la Carrosse d’Or 2008 della Quinzaine des rèalisateurs, una sorta di premio alla carriera ricevuto da molti nomi illustri del cinema mondiale.
Il programma della manifestazione verrà presentato nella conferenza stampa del 23 aprile.

Michael Clayton

Michael Clayton di Tony Gilroy
(2007) USA

Non sarà certo il film dell'anno, anche perché la storia puzza di già visto lontano un miglio, ma Michael Clayton è un film dignitosissimo che ha pochi punti di forza ma tutti molto efficaci. Innanzitutto l'intuizione di iniziare la storia dalla fine e poi lanciare un lunghissimo flashback proprio per scongiurare l'effetto noia di già visto e dare una marcia in più ad una storia leggermente complicata. Poi c'è la caratterizzazione dei personaggi: ovviamente giganteggia il protagonista di George Clooney ma i comprimari sono tutti ugualmente ben sviluppati e per giunta chiedendo un pò più di attenzione allo spettatore medio. La regia mantiene toni bassi che però sembrano voluti e non eccede in trovate drammatiche ma trasferisce le difficoltà della storia nella fotografia livida e nel montaggio. Perché alla fine l'attenzione è tutta per la storia e per i dilemmi morali che propone. In tutto questo c'è un cast che recita più che bene; per dirne un paio: Tilda Swinton (qui premio Oscar) compare molto meno di quanto pensassi ma in quel poco lascia il segno, soprattutto nella versione originale da preferire al doppiaggio e Sidney Pollack trasporta tutte le sfaccettature del suo personaggio nelle sue rughe e nei suoi sguardi parzialmente colpevoli. Poi c'è George Clooney che per quanto mi riguarda è un bravissimo attore e in questo caso costruisce un'interpretazione... come dire, trattenuta ma di grande impatto. E Tom Wilkinson non si fa sopraffare dagli altri, anzi. Godibilissimo, importanti i risvolti morali che vuol proporre, scorrevole nonostante le insidide della storia. Bella l'idea dei titoli di coda.

9.4.08

Shortbus

Shortbus di John Cameron Mitchell
(2006) USA

Non è il film che ci hanno voluto far credere. Non è morboso, non ricerca lo scandalo facile nonostante le numerose scene di sesso (sesso vero di tutti i tipi fino alle orgie, erezioni ed eiaculazioni si sprecano e le donne non sono da meno nel mostrarsi) che fra l'altro non sono neanche forzate in quanto il film si basa tutto sulle relazioni umane, fra le cui componenti essenziali c'è sicuramente il sesso. Ma quando il rapporto sessuale diventa un problema, sintomo di qualcosa di più profondo che non funziona, la cosa merita di essere sviscerata e Shortbus è proprio questo che cerca di fare. Vuole scavare nelle profondità dell'animo umano per andare a ricercare qual è quella cosa che ci spinge ad unirci carnalmente con qualcun'altro. Non è detto che il film fornisca tutte le domande che pone, ma in un paio di cose centra il colpo: innanzitutto la rappresentazione di New York, una città che dopo l'11 settembre non è stata più la stessa e deve fare i conti con i fantasmi del passato; l'attentato aereo che ha cambiato la storia degli ultimi anni viene solo accennato all'inizio ma i suoi effetti si sentono in tutta la storia. Secondo punto: il regista riesce a toccare quelle corde difficili da raggiungere per un'opera cinematografica di questo tenore, quel genere di sentimenti in cui tutti ci possiamo riconoscere al di là delle esperienze che i protagonisti vivono. Il risultato è una malinconia di fondo fortissima che stride volutamente con i colori della fotografia e delle scenografie in maniera disarmante.
Mitchell non manca di coraggio nel mettere in scena tutto questo, non nasconde nulla e mostra tutto ciò che il pubblico potrebbe trovare fastidioso per la propria sensibilità; ma ciò non avviene, anzi ci si affeziona ai personaggi pur essendo distanti dalle loro esperienze. Oppure, e questo sarebbe un bel punto interrogativo, ci si affeziona proprio perché vorremmo viverle quelle esperienze. Perché il sesso è ancora un grande taboo della società, con tutti i problemi culturali che ne conseguno. Shortbus vuol parlare anche di questo.

8.4.08

Uno sguardo altrove: Lost

E' giunta l'ora che anche io spenda due parole su Lost. Fenomeno televisivo dirompente degli ultimi anni, l'unico che sia riuscito a creare un clamore ed un fanatismo riconducibili ad un illustre predecessore ed ispiratore quale è X-Files, il serial Lost è stato co-creato nel 2004 dalla fervida immaginazione di uno dei genietti degli ultimi anni, J.J. Abrams, che ha poi applicato il 'metodo Lost' alle sue produzioni cinematografiche (vedi Cloverfield). Non starò qui a scrivere di cosa narra il serial, quali sono i motivi per cui è così interessante perché in rete è stato già detto e scritto tutto ed esistono migliaia di siti e blog che ne spulciano ogni particolare (a tal proposito, sono imperdibili Lostpedia, la sezione di Wikipedia totalmente dedicata al serial, e mi sento di consigliarvi personalmente il sempre aggiornatissimo DaddunLost). Ciò che mi preme è scrivere qualcosa di personale, di un nucleo centrale che solo ogni tanto sembra emergere in superficie nella trama del serial ma che invece a me (ma sicuramente a molti altri) è sembrato centrale e fondamentale.
Lost è la storia di un gruppo nutrito di persone che precipita su un'isola. Ciascuno di loro ha un passato che non solo lo collega a qualcun'altro presente sull'isola ma che sembra anche essere buon motivo di una predestinazione a precipitare proprio lì. Il luogo dove si risvegliano dopo l'incidente sembra essere idilliaco ma fin da subito si rivela minaccioso: oscure presenze infestano la giungla, strani esperimenti vengono condotti da persone che già abitavano l'isola. Ogni personaggio, allora, dovrà farsi carico delle proprie esperienze e della propria personalità per cercare di sopravvivere in un posto che tutto sembra tranne che accogliente. Ed ecco, allora, il punto emotivamente più forte di Lost: l'umanità che viene rappresentata, i protagonisti, è un ampio ventaglio di personalità che abitano il nostro mondo e in cui tutti gli spettatori (costante dei serial) possono riconoscere qualcosa di sè stessi. Ma questo va ben oltre il mero tecnicismo di empatia con il pubblico. I protagonisti, dal primo all'ultimo, ingaggiano una battaglia con quelli che sembrano essere elementi soprannaturali (ma a Lost nulla è come sembra) ma in realtà stanno combattendo con le stesse paure che affrontiamo noi nella vita di tutti giorni, in primis la paura della morte e il fortissimo spirito di sopravvivenza che ci contraddistingue. Ognuno di loro deve fare i conti con gli errori del passato, più o meno grandi, riconciliarsi con sè stessi e trovare la forza di andare avanti. Di espiazione si tratta, nulla a che vedere con le religioni anche se Lost, specie nella seconda serie, porta avanti un discorso non indifferente sullo spiritualismo e soprattutto la fede. Ma ciò che tende a sottolineare è il difficile cammino che tutti devono intraprendere per scacciare i demoni di un passato che in quanto tale influenza presente e futuro. Viene dipinta così l'umanità tutta in un microcosmo fanta-avventuruoso dove è prepotente una fortissima carica drammatica; impossibile non emozionarsi insieme ai protagonisti, la qualità di scrittura degli autori è altissima mentre la regia alterna alti e bassi notevoli (ma gli alti sono pura eccellenza). Il quadro finale lo avverto desolante ma umanamente vero: si vive insieme, si muore soli, come viene più volte ripetuto nell'arco narrativo della storia. E' una risposta che non consola ma è la vita stessa a non essere conciliante con le aspirazioni degli individui. Tutto ciò viene ancora più rafforzato dalla geniale svolta narrativa che viene lanciata al termine della terza stagione: raramente si era visto tanto coraggio nel ribaltare completamente il punto di vista di un serial dopo 3 cicli di successo ed invece è cio che avviene; il sistema narrativo del telefilm viene totalmente rigirato (dal sistema flashback/presente si passa a flashforward/presente mostrando così quale sarà la sorte dei personaggi alla fine dell'avventura ma senza per nulla intaccare la suspance insita nella storia).
Infine, alcune coordinate personalissime ve le devo dare: John Locke (magnifico e premiato Terry O'Quinn) è uno dei personaggi più affascinanti degli ultimi anni della televisione e da tanto fascino è nata la più ipnotizzante nemesi della tv dell'ultimo decennio (il personaggio di Michael Emerson). E il gruppo creativo che ruota intorno a Lost è uno dei migliori che ci sia in circolazione.
Quarta stagione in corso, Lost è forse l'unico serial che ha già deciso con ampio anticipo quando scrivere la parola fine (si parla di cento episodi per un totale di 6 stagioni ma lo sciopero degli sceneggiatori ha messo in crisi questa certezza), consegnando così ancora più forte l'idea che chi ci lavora non sta andando allo sbaraglio o al rilancio continuo di misteri e segreti ma ha già un'idea dell'insieme e della direzione della storia. Chapeau!

7.4.08

Quando andavo a caccia di alieni...

Interessante intervista a David Duchovny. Qualche accenno anche al nuovo X-Files in arrivo.

4.4.08

Ogni cosa è illuminata

Everything is illuminated di Liev Schreiber
(2005) USA

Esordio alla regia del bravissimo attore Liev Schreiber, Ogni cosa è illuminata parte con i toni della commedia e si conclude con un piglio decisamente drammatico. Tratto da un'opera letteraria dalla difficile trasposizione ma di grande impatto, il film parte con un quarto d'ora di incipit davvero fulminante e per tutto il primo tempo ne mantiene il ritmo. Nel secondo tempo le cose cominciano a rallentare anche per il drastico cambio di tono della storia ed è qui forse che il meccanismo si inceppa. Schreiber firma un debutto alla regia convincente ma piuttosto pasticciato in alcuni momenti, laddove nel secondo tempo l'equilibrio tra commedia e dramma si spezza a favore del secondo e i meccanismo narrativi iniziano ad ingarbugliarsi un pò (la voce fuori campo che narra è di uno, i flashback sono di un altro). Non sembra tanto che il regista si sia confuso ma semplicemente che abbia voluto osare; ma se nel complesso l'opera di direzione è piuttosto buona, è nel dettaglio che il film mostra i suoi difetti peggiori. Nulla da ridire, invece, sulla direzione degli attori (quando un bravo interprete dirige altri interpreti c'è quasi sempre questo risultato), Elijah Wood è una conferma e il resto del cast regge la scena. E' la morale del film più di tutto a rimanere impressa: l'importanza della memoria, laddove questa si componga attraverso fratti privati o avvenimenti storici, è fondamentale. Buttare via il passato significherebbe non imparare dalle esperienze vissute e ricadere negli stessi errori. Conservare tutto ciò che ci aiuta a ricordare è vitale. Nella costruzione di questo insegnamento il film è praticamente perfetto e raggiunge vette poetiche sorprendenti.

1.4.08

Across the universe

Across the universe di Julie Taymor
(2007) USA

Sono rimasto folgorato da questo film, fin dalla prima bellissima scena su una spiaggia inglese che è solo la prima di tante intuizioni visive che reclamano ammirazione. Across the universe è un progetto ambizioso a cui la Taymor ha creduto e ci ha lavorato sodo; e ciò si vede, è evidente da ogni singola scena che questo è un film nato da un'esigenza, da una passione, da un'intelligenza per nulla da ignorare. E' un'opera rock che con 33 canzoni dei Beatles narra una manciata di anni che furono accompagnati proprio da quelle musiche e che hanno rappresentato un momento epocale per l'America e il mondo intero; canzoni che non appartengono, però, solo a quel periodo ma viaggiano attraverso l'universo, appunto, e giungono fino a noi, ai giorni nostri. E' un parallelo da tener presente perché quelle stesse musiche, a distanza di 40 anni, hanno un'influenza sulla cultura contemporanea eccezionale: non a caso hanno ispirato questo film, per dirne una. Across the universe, allora, è la storia di due ragazzi che si amano (o ci provano, almeno) sullo sfondo della guerra nel Vietnam, le grandi contestazioni pacifiche, il periodo insomma dove un pò tutti ricercavano disperatamente un'identità che li rendesse unici e speciali, in un mondo dove tutto si avviava all'omologazione e al distacco umano. In tutto questo, a Julie Taymor riesce un altro piccolo miracolo: non solo il film è farcito di citazioni beatlesiane (non si contano: tutti i personaggi hanno nomi tratti da canzoni del quartetto di Liverpool; alcuni titoli delle canzoni dei Beatles vengono utilizzate nei dialoghi, "she came in through the bathroom windows, when i'm 64") ma durante tutta la storia dei protagonisti principali, è possibile leggere ad un altro livello la storia stessa dei Beatles e di tutti i momenti salienti della loro carriera: gli esordi al Cavern, le droghe prima leggere e poi pesanti (fra l'altro senza mai mostrarle), la nascita della Apple o l'ultimo concerto sul tetto della casa discografica... c'è davvero tutto! E' allora un'opera dal doppio omaggio: ad un'epoca che ha lasciato il segno e ad una band che ha segnato diverse epoche. Il tutto condensato in due ore meravigliose dove ogni momento musicale è una sorpresa sia a livello visivo che audio; non solo la regia è pregiatissima e ispirata, ma il lavoro di arrangiamento compiuto sulle canzoni è strepitoso e le perfomance canore degli attori di alto livello. Il cast è perfetto, sono tutti calatissimi nella parte ma su tutti si erge il protagonista assoluto: Jim Sturgess, autentica rivelazione, faccia da schiaffi e voce graffiante, dà un'impronta al suo personaggio rendendolo praticamente unico.
Across the universe è una delle opere più belle che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni e lo dice uno che mal sopporta musical e quant'altro... ma questo non è tecnicamente un musical e comunque gli intenti del film vanno ben oltre: è la storia del mondo, è la storia della musica. E' emozionante dal primo all'ultimo momento. Difficile da dimenticare.

I Film del Mese: Aprile 2008


  • Juno di Jason Reitman (4);
  • Non pensarci di Gianni Zanasi (4);
  • La zona di Rodrigo Plà (4);
  • Gone Baby Gobe di Ben Affleck (4);
  • The Eye di D. Moreau, X. Palud (4);
  • Next di Lee Tamahori (4 - visto in anteprima);
  • All'amore assente di Andrea Adriatico (4);
  • Amore, bugie e calcetto di Luca Lucini (4);
  • Shine a light di Martin Scorsese (11);
  • Interview di Steve Buscemi (11);
  • In amore niente regole di George Clooney (11);
  • Alla ricerca dell'isola di Nim di M. Levin, J. Flackett (11);
  • Riprendimi di Anna Negri (11);
  • La seconda volta non si scorda mai di Francesco R. Martinotti (11);
  • Oxford Murders - Teorema di un delitto di Alex De La Iglesia (11);
  • Shoot'Em Up di Michael Davis (11);
  • L'ultima missione di Olivier Marchal (18);
  • 10 cose di noi di Brad Silberling (18);
  • 21 di Robert Luketic (18);
  • Ortone e il mondo dei Chi di J. Hayward, S. Martino (18);
  • Il matrimonio è un affare di famiglia di Cherie Nowlan (18);
  • L'amore non basta di Stefano Chiantini (18);
  • Step Up 2 di Jon Chu (18);
  • Cambio di gioco di Andy Frickman (18);
  • Jimmy della collina di Enrico Pau (23);
  • Tutti pazzi per l'oro di Andy Tennant (23);
  • L'altra donna del Re di Justin Chadwick (24);
  • Sotto le bombe di Philippe Aractingi (24);
  • 3Ciento di A. Seltzer, J. Friedberg (24);
  • Mongol di Sergej Bodrov (25);
  • Evening di Lajos Koltai (25);
  • L'anno Mille di Diego Febbraro (25);
  • The Hunting Party di Richard Shepard (30);
  • Racconti da Stoccolma di Anders Nilson (30);
  • Saw IV di Darren Lynn Bousman (30);
  • Lezione 21 di Alessanrdo Baricco (30);

Aprile è un mese ricco e sembra anche la fiera dei titoli scemi. Detto ciò, a voi la scelta!