31.1.09

Sette Anime

Seven pounds di Gabriele Muccino
(2008) USA

Non si può certo dire che Muccino sia l'ultimo dei fessi. Come regista ha dato ottima prova di sé con le prime opere, cominciando poi a disperdere il suo promettente talento e fossilizzandosi in uno stile che è diventato sempre più prevedibile. Dalla trasferta in America avrebbe dovuto trarre molto più giovamento e invece il (secondo) risultato è questo Seven pounds, probabilmente quello più diverso nella sua carriera rispetto al passato e quello dal quale ci si attendeva una marcia in più. Invece Muccino continua a fare alla grande quello che gli riesce meglio, cioè dirigere gli attori grazie ad una fase preparatoria che prevede una lettura della sceneggiatura così approfondita da durare settimane, e ad ostentare i difetti che s'è portato dietro dall'Italia: quindi abbiamo una prima ora di film dinamica ed avvincente, nella quale il personaggio principale compie azioni bizzarre senza che venga data spiegazione certa a noi spettatori; dopo quella prima ora comincia a calare un pò di noia che ben presto diventa pesantezza. Il ritmo del film ha continui rallentamenti che mortificano la storia e poi ci si trova ad augurarsi che finisca il prima possibile, anche perché c'è un momento in cui i protagonisti non fanno altro che piangere, qualsiasi cosa facciano! Ci sono scelte, poi, che appaiono francamente discutibili come la colonna sonora sempre certosina nell'evocare lo strazio degli avvenimenti; così come ci sarebbe da chiedersi perché costruire l'intera narrazione sul colpo di scena finale che svelerà tutto per poi andare in tour promozionale per il film e dichiarare in ogni intervista qual è lo svolgimento del film. 
Insomma, io non capisco. Dove vorrebbe andare il cinema di Muccino? Davvero dobbiamo valorizzare questo film solo perché contiene un'eccellente prova d'attore di Will Smith (e il resto del cast non è da meno, probabilmente grazie proprio a Muccino come già detto)? Anche L'ultimo bacio parlava di sentimenti ma lì la regia e le tempeste emozionali dei protagonisti erano tutt'uno, qui invece non c'è nulla di tutto ciò e l'amaro in bocca alla fine è tanto. Anche perché il regista cerca in tutti i modi di commuovere, in maniera così ostentata ed insistente che finisce con l'essere insopportabilmente ruffiano. Ecco la parola giusta: è un film ruffiano.

30.1.09

Lynch - McCartney

David Lynch ha reclutato niente di meno che Paul McCartney per la causa portava avanti dalla sua fondazione. Il musicista si esibirà in un concerto a sostegno della David Lynch Foundation insieme a tanti altri il 4 aprile 2009.
Due dei miei massimi miti che s'incontrano!

29.1.09

Milk

Milk di Gus Van Sant
(2008) USA

Ho troppo rispetto e ammirazione per Gus Van Sant per pensare che si sia semplicemente seduto dietro la macchina da presa e ha lasciato fare tutto agli attori. Perché la prima impressione è quella: è difficile riconoscere lo stile Van Sant durante il film e non mi riferisco ai suoi lavori sperimentali (il bellissimo Paranoid Park su tutti) ma anche a quel filone 'classico' a cui appartiene questo e che Van Sant non ha mai disdegnato (basti pensare a Will Hunting), film questi ultimi nei quali potevi comunque riconoscere un'impronta personalissima del regista nonostante la presunta ordinarietà dell'opera (ma questa è solo una schifosa etichetta per capirci meglio). Il fatto è che buona parte dell'ottima riuscita di Milk è da imputare innanzitutto al parco attori (fantastico Sean Penn in testa, in odor di Oscar lontano un miglio) che fanno un lavoro straordinario di caretterizzazione su personaggi tutti realmente esistiti ed ognuno con la sua piccola storia da raccontare, con i suoi sentimenti ed i suoi fantasmi. E' poi la grandezza della storia di Harvey Milk a fare la differenza, il suo esempio e l'energia che ci ha messo per spostare un pò più in là il progresso culturale dell'America anni '70, gli sforzi ed i sacrifici compiuti per garantire pari dignità a tutti, vivendo nell'ombra di essere ucciso da un fanatico di turno e scoprendo invece di avere l'assassino proprio nell'ufficio accanto. Fatto sta che per tutto il film Van Sant quasi non si sente, anche se alla fine capisci perché: l'intera regia è costruita per rendere gli ultimi 20 minuti indimenticabili, un vero e proprio accumulo di emozioni e tensione che esplodono alla fine negli occhi e nel cuore; la scena dell'assassinio, poi, quasi è un pugno nello stomaco anche perché il regista ci fa credere di non voler mostrare troppo nel dettaglio la morte del personaggio (l'uccisione del sindaco avviene solo accennata nel riflesso di uno specchio e poi completamente fuori campo), cosa che invece avviene nella piena consapevolezza dello spettatore e nel suo rendersi conto che per comprendere appieno l'importanza della parabola di Milk dobbiamo morire insieme a lui ed insieme a lui avvertire quel brivido di violenza omicida.
Ci si dovrebbe chiedere, più che altro, perché questo film e perché adesso. Ovviamente le risposte sono tante e la recente lotta contro i matrimoni omosessuali in America sembra la risposta più ovvia; altre teste hanno invece sottolineato come le prese di posizione di Obama in materia gay durante la campagna elettorale siano state sempre sfuggenti (questa sì una lettura interessante). Il film, inoltre, più che sui gay si concentra sulla necessità nella vita di assumere una posizione certa e forte in qualsiasi momento storico ed avere il coraggio di portarla fuori, allo scoperto, davanti a tutti perché se non ci metti la faccia hai rinunciato già a buona parte delle tue opinioni.

26.1.09

Quando volevano dare l'Oscar a Gollum...

... e invece daranno il Leone d'Oro alla Carriera ad un'intera casa di produzione, la Pixar. Ebbene sì, il direttore Muller ha annunciato che il premio alla carriera della prossima edizione del Festival di Venezia andrà a John Lassater, "protagonista dell'animazione occidentale contemporanea, da sempre alla ricerca del punto di fuga in cui l'avanguardia incontra il blockbuster." Ma pur essendo Lassater il guru della Pixar non può prendersi tutto il merito degli eclatanti successi (commerciali ed innovativi) di questi ultimi anni e così ad affiancarlo nel ritirare il premio ci saranno diversi registi che hanno firmato i film della casa di produzione: Brad Bird, Pete Docter, Andrew Stanton e Lee Unkrich. 
Il cinema d'animazione si becca la sua ennesima consacrazione. Mi toccherà farmi una cultura.

22.1.09

Oscar 2009: presenta Hugh Jackman

Ampiamente rispettate le previsioni per gli Oscar 2009, anche se certi equilibri si sono ribaltati. Miglior film: spicca la grande assenza de Il cavaliere oscuro, ai tempi dell'uscita nelle sale salutato come capolavoro contemporaneo, mentre confermati sono Il curioso caso di Benjamin Button, The Millionaire già vincitore ai Golden Globes, Frost/Nixon, la bella sorpresa Milk e The reader. Miglior regista: sono in lizza gli autori dei film appena elencati e dunque Fincher, Boyle, Howard, Van Sant e Daldry. Miglior attore: lanciatissimo Sean Penn che raccoglie consensi ovunque contro Brad Pitt, l'outsider Mickey Rourke che rivive una seconda giovinezza grazie a The Wrestler, a sorpresa saltano fuori Langella e Jenkins; ennesima grande assenza di Leonardo Di Caprio. Miglior attrice protagonista: l'immancabile Meryl Streep tallonata dalla giovane Anne Heathway, ma buone chance anche per la Jolie e per la Winslet (per The reader), la sorpresa è Melissa Leo. Miglior attore non protagonista: confermate le insistenti voci per la candidatura postuma di Heat Ledger (il Joker gli è valso già un Golden Globe postumo), Philip Seymour Hoffman, il mitico Robert Downey Jr. per Tropic Thunder, Brolin e Shannon. Lista completa qui.
Vi manca qualcosa? Sì, è la grande delusione di Australia (vorrei poter aggiungere qualcosa ma sto evitando questo film come la peste) mentre Il cavaliere oscuro si becca praticamente solo candidature tecniche. In tutto sono 13 candidature per il film di Fincher e 10 per The Millionaire. Milk e Il cavaliere oscuro se ne contendono 8: è curioso sottolineare come siano in ballo film molto diversi tra loro, una vasta gamma di cinematografia americana per tutti. Io, comunque, darei per scontato l'Oscar a Wall-E. 
Appuntamento il 22 febbraio.

20.1.09

Il mercato si piega ai pirati... o no?!

"Basta fare guerra a chi scarica la musica su Internet. Mandarli in galera
non ci farà guadagnare un solo dollaro in più. L'industria deve dare ai
consumatori quello che vogliono, in maniera legittima, assicurandosi che
gli artisti, i compositori e le case discografiche siano pagate".

L'associazione che mette insieme musicisti, discografici e produttori inglesi (ovvero il mercato musicale più florido dell'Europa) ha finalmente capito che a fare la guerra ai pirati della musica c'è poco da guadagnarci; meglio andare incontro alle nuove esigenze del mercato. E finalmente un'associazione così importante ha ammesso di non voler più perseguire la linea della repressione ma cominciare a cercare accordi, soprattutto con le compagnie telefoniche che forniscono la rete, per garantire a tutti la possiblità di scaricare musica senza limiti e al mercato di continuare comunque a guadagnarci. Uno dei massimi esperti del settore, Gerd Leonhard, ha suggerito:

"Se potessimo avere una licenza in grado di far pagare a chi si connette a
Internet un solo euro al mese per poter scaricare liberamente la musica,
l'industria potrebbe guadagnare 500 milioni di euro al mese, circa 26 miliardi
di euro l'anno".

Come cifre mi sembrano molto realistiche e difficilmente ci si potrebbe sottrarre ad un'offerta del genere. Io non ho mai creduto che i pirati del file-sharing fanno quello che fanno per il puro gusto di infrangere le regole ma per una vera e propria necessità economica e del resto un euro al mese per scaricare musica senza limiti potrebbe anche abbatere le ultime resistenze.
Scrivo tutto questo, ovviamente, perché gli stessi ragionamenti possono essere spostati sul piano cinematografico; l'industria del cinema sarà certamente la prossima a capitolare davanti all'impossibilità di attenuare il fenomeno pirata e inizierà ben presto a cercare soluzioni alternative (altro che cinema 3D). Sicuramente questa qui sarà la prima che prenderanno in considerazione.
(fonte: Repubblica.it)

16.1.09

Da oggi nelle sale: Appaloosa (anteprima RomeFilmFest2008)

Appaloosa di Ed Harris
(2008) USA

Forse non è un caso che durante l'incontro con la stampa Ed Harris ha fatto saltare ironicamente fuori il nome di Sarah Palin (all'epoca ancora in corsa) quando qualcuno ha messo in mezzo il termine "eroi". Perché il bellissimo Appaloosa sembra avere fra i tanti suoi punti di forza quello di ridare centralità ad un ruolo, quello maschile, che forse è stato fin troppo maltrattato nel recente cinema americano. E se al Festival di Roma sul versante Italia si puntava sulle lacrime virili di Favino, Ed Harris mette in scena invece un western tradizionale ed innovativo al tempo stesso (provare per credere) nel quale i personaggi maschili si prendono tutta la scena; un rapporto di amicizia virile destabilizzato solo dall'ingresso nella storia di una donna molto poco apprezzabile e responsabile di diverse nefandezze. Appaloosa è girato tutto sul rapporto tra i due protagonisti (lo stesso Harris e Viggo Mortensen, quest'ultimo in un'interpretazione bellissima in ogni sua componente: sguardi, voce, atteggiamenti) e sulla fine di un'era, quella del selvaggio west, che se da una parte mette via pistole e violenza, dall'altra concede l'ingresso in scena di una classe altrettanto selvaggia, quella capitalista (Appaloosa finisce laddove potrebbe iniziare Il petroliere di Anderson).
Lo sguardo di Harris regista è molto preciso: ricerca la fermezza della macchina da presa (le pochissime scene con macchina a mano, infatti, saltano subito all'occhio) pur avendo a che fare con una storia molto dinamica: ci sono i paesaggi da mostrare e la netta impressione è che non siano tanto gli uomini a cambiare quanto la terre intorno e di conseguenza le loro possibilità di scelta e di movimento (dove per movimenti non si intende andare dal punto A al punto B, ovviamente). C'è chi questo cambiamento lo assume pur non volendolo dare a vedere e chi invece ne prende atto ma preferisce sfuggirgli e portare avanti la propria esperienza su quegli stessi binari finchè dura.
Ecco allora che Appaloosa ritorna al presente pur sceneggiando un tempo e dei personaggi che non esistono più, volendo solo raccontare una storia dai ricchissimi momenti ironici fatta di personalità affascinanti e forti e tralasciando le implicazioni morali che per forza di cose saltano fuori; nel fare ciò Harris non riesce ad annoiare neanche un attimo stando ben attento a non far durare il film quella mezz'ora in più a cui un presunto autore di mestiere non avrebbe saputo rinunciare e mantenendo salda la regia anche nei momenti più statici.
*

14.1.09

Gomorra K.O.

La notizia dell'esclusione di Gomorra dai 9 film rimasti in lizza per approdare poi alla cinquina per la notte degli Oscar non mi ha sorpreso. Certo, avrei dovuto dirlo prima piuttosto che tirare a me la ragione adesso che il tutto è fatto, però le mie ragioni le avevo esposte in un articolo che ho ceduto ad una rivista e che non posso rendere noto qui finché non sarà pubblicato.
Ora come ora, però, mi va di dire che Gomorra non era film da proporre agli Oscar. Nel senso che se lo hanno proposto hanno certamente fatto leva su alcuni fattori che se da una parte rendono merito al film (vincitore a Cannes, ma anche Il Divo lo è stato) dall'altra scoprono logiche puramente commerciali; il motivo principe, sicuramente, è il libro di Roberto Saviano: best-seller tradotto in tutto il mondo, sicuramente un ottimo apripista al film che può farsi forza del "biglietto da visita" del libro. Ma nel concreto, cosa aveva Gomorra da offrire alla Academy Award? Io l'ho ritenuto un film bellissimo, poetico e coraggioso ma ho sempre detto che fra un'estetica alla Gomorra ed un'estetica alla Il Divo, avrei sicuramente spedito il secondo a concorrere per la statuetta (Il Divo sta ormai assumendo le forme dell'eterno secondo, anche se secondo me fra i due è sicuramente più bello il film di Sorrentino); non voglio neanche pensare che si sia voluto riportare ad Hollywood quel neorealismo che tante soddisfazioni ci ha portato ma che appartiene comunque al passato (fosse questo il motivo della scelta di Gomorra, significa che ci saremmo presentati per l'Oscar come nostalgici).
Inoltre, si dovrebbe andare a vedere se tutto questo entusiasmo che Gomorra ha suscitato nelle sale americane sia vero o sia stato gonfiato dalla stampa italiana. Ho letto che perfino Martin Scorsese ha organizzato proiezioni del film di Garrone per sostenerlo. Non abbastabza, evidentemente.

11.1.09

11/I/1999 - 11/I/2009

"...per chi viaggia in destinazione ostinata e contraria..."
Dieci anni. E si sentono tutti.

9.1.09

Masters of Horror (6) Anderson

Masters of Horror si compone di due stagioni durante le quali nomi accreditati del cinema internazionale hanno dato libero sfogo alla propria vena horror.

Sounds like di Brad Anderson. Tutta l'esperienza televisiva di Anderson fa ben comprendere perché Sounds like risulti essere uno dei migliori Masters of Horror visti fino ad ora: per il suo essere conciso ed efficace, per la profonda panoramica di personalità che viene presentata in un così breve spazio, per l'idea mai troppo scontata di voler raccontare il lento delirio nel quale scivola il protagonista; soprattutto, lo stile con il quale tutto ciò viene trattato. I primi dieci minuti sembrano un episodio di X-Files proprio per quella capacità di inserirsi lentamente in una storia e in un atmosfera dai sapori cinematografici. La sensazione al termine della visione è di grandissima soddisfazione. A freddo, poi, forse si realizza che quanto visto è stato sì di grande impatto ma profondamente manieristico, quasi una prova d'esame per un diplomando di accademia cinematografica. Poco male: rimane comunque uno dei migliori episodi della saga. E il protagonista è Chris Bauer, attore che mi inquietò non poco all'epoca in cui sbucò da dietro la maschera del feroce aguzzino di 8MM.
*

8.1.09

Dexter Morgan e Miguel Prado

Torniamo a parlare di Dexter, uno dei serial più innovativi e cult del momento che conferma la sua tendenza: temi e personaggi ambigui che vogliono suscitare nello spettatore altrettanta ambiguità e dilemmi morali di non poco conto. Se la sfida delle prime due stagioni era l'identificazione del pubblico con il protagonista (un serial killer sociopatico) e con il suo subdolo codice che rappresenta soltanto la copertura del suo bisogno malato di uccidere, la terza stagione propone un approfondimento di questo gioco introducendo un nuovo personaggio: il vice procuratore Miguel Prado (interpretato dal mitico Jimmy Smits) che viene suo malgrado a conoscenza di Dexter Morgan e delle sue abitudini assassine. Il bello è che il vice procuratore non rimane disgustato da Dexter ma anzi ne subisce il fascino finendo per apprezzare la bugia che copre le azioni del protagonista: la presunta sete di giustizia. Ma così come per Dexter quello è solo un alibi, anche il meccanismo che muove Miguel Prado è dapprima un giustizialismo perverso che finisce nello sfociare in pura violenza. Ad un certo punto della serie, allora, diventa chiaro che il personaggio di Smits rappresenta il pericolo stesso che il personaggio di Dexter e la sua personalità borderline possono esercitare sul pubblico che guarda il serial. Miguel Prado siamo noi, noi che abbiamo avuto il coraggio di identificarci in Dexter e arrivare a giustificare le sue azioni e addirittura a tifare per lui quando rischiava di essere scoperto (vedi la seconda stagione), sottolineando come ciascuno di noi può trasformarsi in un feroce assassino coltivando scuse ed alibi che non servono a giustificarci agli occhi degli altri ma più ad essere in pace con noi stessi e ponendo al centro di tutto il rischio che comporta "aprire certe porte che poi è difficile richiudere".
Il successo di Dexter, infondo, gioca proprio sul talento degli autori di aver messo in scena un personaggio che in fin dei conti è un uomo che si sente solo, tagliato fuori dal resto del mondo, alienato e costretto a nascondersi per paura che il suo vero essere non possa essere accettato dagli altri. Sentimenti di esclusione che un pò tutti hanno provato nella propria vita.

7.1.09

Cofanetto italiano per David Lynch

La Rarovideo ha annunciato la pubblicazione in data tutta da definire (probabilmente tra marzo e aprile) di un cofanetto dedicato a David Lynch il cui contenuto di punta sarà l'esordio alla regia del regista, Eraserhead, di fatto un film mai pubblicato in vhs o dvd in Italia. Ad affiancarlo, la raccolta I corti di David Lynch che attraversa trent'anni di produzione dagli esordi sperimentali di Six Figures Getting Sick del 1966 a Lumière et compagnie del 1996 (di alcuni di questi ho già scritto qui) ed infine la serie Dumbland, cartone animato in 8 episodi realizzato per il sito davidlynch.com. C'è da sperare che la versione di Eraserhead sia quella recentemente rimasterizzata dal regista stesso per essere inserita nella momumentale Lime Green Box. Per ora il sito della Rarovideo non si sbilancia sul prezzo del cofanetto; in altri siti la cifra oscilla intorno ai 45 euro.
La probabile copertina è qui.