29.5.08

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

(2008) USA

Troppe le aspettative, lunga anni l'attesa. Quindi è piuttosto facile e prevedibile andare a sbattere contro un muro di delusione che fa pure tanto male. E infatti, fermo restando che il quarto capitolo di Indy raggiunge la piena sufficienza, siamo davanti ad un film che è riuscito solo a metà. Ad esempio, nella scommessa di riportare sul grande schermo personaggi amati dal pubblico ma pericolosamente invecchiati per un film d'avventura. Oppure nel pericoloso tentativo di spostare l'ambientazione classica della serie (dalla seconda guerra mondiale agli anni della guerra fredda). A tal proposito, un punto a favore di Spielberg: non mi pare sia mai apparsa una didascalia che ci indicasse in che anno si svolgono gi avvenimenti eppure i primi 30 minuti del film sono a tal punto fulminanti da dirci senza sforzarsi più di tanto dove ci troviamo e soprattutto quando.
Ammesso senza difficoltà che le scene d'azione dirette da Spielberg sono garanzia di spettacolo e che Harrison Ford sa gigioneggiare ancora bene, che Cate Blanchett è un'ottimo personaggio cattivo e Shia LaBeouf ormai una stella che brilla di luce propria, che la fotografia di Kaminski è quanto mai efficace e che la sceneggiatura poteva essere molto peggio (tra l'altro, è infarcita fino a dar fastidio di autocitazioni ai precedenti capitoli di Indy), resta solo un punto da osservare: se questo film ha dei difetti, sono unicamente da imputare al regista. Che stavolta perde il senso della misura e fa mancare al film quello che era sempre stato fondamentale per la serie dell'archeologo: nei tre capitoli precedenti qualsiasi cosa succedesse, per quanto azzardata, aveva una parvenza di credibilità (il duello sul carrarmato de L'ultima crociata su tutti) che lo rendeva reale, compresi i momenti d'azione. Qui si azzarda e si rilancia sempre di più, si richiede uno sforzo d'abbandono allo spettatore troppo alto e più volte si rischia di scuotere la testa davanti a certe scene esageratamente spettacolari. Lucas e Spielberg, inoltre, si erano impegnati ad usare meno tecnologia possibile per gli effetti speciali, proprio per preservare quel sapore d'antico e d'artiginale classico della serie, eppure di quella atmosfera io ne ho vista ben poca.
L'intrattenimento c'è. Il divertimento pure. E' la grande mano di Spielberg che manca, quella che pur avendo a che fare con avventura e azione riesce ad infilarci riflessioni sociali o argute esperimenti sul mezzo cinema. Invece Spielberg ha voluto fare ben poco e s'è dedicato tutto al divertimento, al grande sogno di far incontrare Indy ed E.T.

28.5.08

Uno sguardo altrove:In acque profonde di David Lynch

Catching the Big Fish, il libro che porta la firma di David Lynch, è arrivato anche in Italia con il titolo In acque profonde. Non è una vera e propria opera omogenea realizzata dal regista statunitense ma una sorta di raccolta dei suoi pensieri vecchi ed inediti suddivisi in base al tema.
La riuscita del libro è piuttosto singolare: David Lynch parla della sua vita sin da giovane, racconta aneddoti sulla sua carriera e sulla realizzazione dei suoi film; sprizza orgoglio quando narra della sorta di consacrazione ricevuta da Kubrick (che ad alcuni amici produttori confidò di considerare Eraserhead il suo film preferito in assoluto) ed emozione per quando ricorda il primo ed unico incontro avvenuto con Fellini in un ospedale romano, un paio di giorni prima che il regista italiano entrasse in coma senza più svegliarsi; descrive minuziosamente i benefici che ha ricevuto dalla Meditazione Trascendentale e perché vorrebbe che questa fosse praticata da più persone possibili nel mondo, soprattutto i bambini; Lynch scrive di tutto questo e di tanto altro eppure non è una vera e propria autobiografia. Il filo che unisce il tutto è il metodo che Lynch adotta per realizzare i suoi film, per cogliere le idee per le sue opere (ovvero andare a caccia del grande pesce) e ottenere il meglio da esse; la Meditazione Trascendentale. Non solo, ma in alcuni casi Lynch si spinge oltre e spiega come l'impianto che sta alla base di Strade Perdute è il famoso processo ad O.J. Simpson e la sua fuga psicogena, processo dal quale Lynch fu totalmente ossessionato. Non si ha meno fortuna per altre pellicole: spiega ad esempio che una frase della Bibbia rivela l'intero significato di Ereserhead ma subito dopo Lynch aggiunge che non dirà mai a nessuno quella frase; oppure quando, in merito alla scatola blu e rispettiva chiave di Mulholland Drive, non trova altro da dire che: "non ho la più pallida idea di che cosa siano". Altrettanto interessanti sono i momenti metacinematografici: Lynch esprime alcune dichiarazioni forti ("ho chiuso con il cinema inteso come mezzo espressivo; secondo me il cinema è morto") e approfondisce la sua conversione al digitale, cosa lo affascina, quale macchina da presa preferisce. Non solo, ma si prodiga in alcuni piccoli consigli nei confronti dei nuovi e giovani autori che hanno la fortuna, a suo parere, di disporre delle nuove tecnologie che permettono a tutti di fare cinema, a patto che alla base di un progetto ci sia sempre un'idea di cui si è innamorati e che si senta l'urgenza di comunicare agli altri.
In acque profonde è una lettura fondamentale per ogni appasionato di David Lynch, nonchè un trampolino di lancio per chi si vorrebbe avvicinare alla Meditazione Trascendentale. E contiene anche dei momenti molto divertenti e mai narrati (finalmente la verità su come è nato e come si è sviluppato INLAND EMPIRE o la confessione che Kyle MacLachlan è una sorta di suo alter-ego, o ancora come è nata l'idea de La stanza rossa di Twin Peaks).
Misteri rivelati ed altri annunciati.

27.5.08

E' morto Sydney Pollack

Sydney Pollack è morto questa notte all'età di 73 anni, dopo lunga malattia. Ha avuto una carriera lunga ed ammirevole, nella quale si è distinto come ottimo regista (premio Oscar per La mia africa e nominations per Non si uccidono così anche i cavalli? e Tootsie) ma è apparso in numerosi film come attore (Eyes wide shut di Kubrick o il più recente Michael Clayton) e negli ultimi anni aveva investito notevoli sforzi nel campo della produzione sia cinematografica che televisiva. La sua ultima opera rimane Sketches of Frank Gehry, documentario dedicato alle costruzioni del famoso architetto.

25.5.08

Cannes 2008: gli italiani vincono

Grande soddisfazione italiana alla cerimonia di premiazione di Cannes. Entrambi i film italiani in concorso si aggiudicano due premi di grande valore: Premio della Giura a Il divo di Sorrentino e Gran Premio della Giuria a Gomorra di Garrone. Premi altamente simbolici che impongono un'attenzione internazione perun certo cinema italiano coraggioso e moderno, capace di superare i confini territoriali pur raccontando storie intrecciate fortemente al nostro territorio e avviando un'importante innovazione dello stile cinematografico italiano; premi che riportano con la memoria al 1972, allo storico ex-aequo tra Il caso Mattei di Francesco Rosi e La classe operaia va in paradiso di Elio Petri. . Entrambi gli autori sono più che soddisfatti, come lo è doppiamente Toni Servillo presente in entrambi i film. Palma d'Oro a Entre les murs del francese Cantet (storia corale sul disagio adolescenziale e il regista ritira il premio con tutto il numerosissimo cast alle sue spalle), miglior regia il turco Ceylan con Le tre scimmie. Benicio del Toro miglior attore nei panni del Che di Soderbergh, Sandra Corveloni miglior attrice in Linha de passe di Salles. I fratelli Dardenne si aggiudicano il premio per la miglior sceneggiatura con Le silence de Lorna, mentre l'inglese Hunger di McQueen spicca come miglior opera prima. Premio alla carriera per Catherine Deneuve e Clint Eastwood. Il grande favorito, il film Waltz with Bashir di Ari Folman che ha aperto il Festival tra grandi ovazioni, è rimasto completamente a boccia asciutta.

22.5.08

Surveillance a Cannes

Ieri è stato presentato a Cannes il secondo film di Jennifer Lynch, figlia di David, Surveillance. Ne avevamo già parlato qui e adesso abbiamo qualche informazione in più. La regista ha presentato così il suo lavoro: "Nella storia abbiamo una strada che va da un punto A ad un punto B. Tre gruppi differenti si trovano su quella strada e a ciascuno di loro capiterà qualcosa che li obbligherà a diventare testimoni di un avvenimento che dovranno a loro volta raccontare. Ciascuno di loro è un bugiardo e ciascuno di loro cela una verità." E' dunque un film sulla soggettività: "La conoscenza del punto di vista degli altri è la cosa che più mi affascina, perché ognuno di noi ha un proprio modo di vedere e decodificare i fatti reali. Per rendere le tre versioni differenti ho dovuto lavorare molto sulle diverse tonalità delle testimonianze: ciascun personaggio rivela la sua parte di verità, formando una sorta di balletto inquietante e complesso. Mi ha molto affascinato indagare sulle corde intriganti del genere umano e soprattutto sul voyeurismo che le persone conservano sempre dentro di loro. Ho voluto così dimostrare come basti a volte sbagliare strada solo una volta per cambiare completamente il corso della propria esistenza."
In rete è possibile reperire già qualche recensione. Tra queste, SentieriSelvaggi non ci va giù leggera e parla di occasione mancata (ma SentieriSelvaggi cita come esempio da seguire Jeepers Creepers che è uno dei film più ridicoli che io abbia mai visto, quindi...), ravvisando nella regia della donna l'incapacità di liberarsi dall'immaginario di suo padre. A tal proposito, riguardo David Lynch (produttore esecutivo di Surveillance), la figlia Jennifer ha raccontato: "Mi è piaciuto soprattutto inserire nel finale l'intreccio tra le tenebre e la luce. Ma se per me le tenebre non coincidono con il male, per mio padre sì. Lui era infatti molto preoccupato del finale e una volta mi telefonò nel cuore della notte per dirmi: 'No, non puoi far finire il film così'. Ma io non l'ho ascoltato e il mio finale ruota tutto attorno ad una sola domanda: dire la verità può davvero salvare la vita?". Un utente di Cinematical parla di una sequenza iniziale capace di far venire gli incubi e di un finale davvero sorprendente.
Si attendono ulteriori pareri.

21.5.08

C.R.A.Z.Y.

C.R.A.Z.Y. di Jean-Marc Vallée
(2005) Canada

Sono pochi i film che fanno la storia del grande schermo. Ma ci sono quei film che pur non aggiungendo nulla di nuovo al discorso 'cinema', si conquistano un posto sicuro nel cuore dello spettatore. Sarà bene premettere che sarò molto poco obiettivo nel parlare di questo film, essenzialmente per una ragione che credo spieghi tutto: per la prima volta da molti anni a questa parte, mentre guardavo il film, mi ritrovavo più volte a sperare che non stesse per finire, che durasse ancora venti minuti in più, altri venti minuti in più e ancora. E il film dura 127 minuti!
C.R.A.Z.Y. ha innanzitutto una capacità di narrazione da far invidia: la sceneggiatura è un gioiello di stile e la direzione sta ben attenta a non aggiungere troppo e a non sottrarre nulla; raccorda i vari momenti della storia con ellissi molto funzionali; mai visto, negli ultimi tempi, utilizzo più efficace della voce fuori campo solo in pochi momenti della storia e c'è un rispetto e una sensibilità per il tema trattato (essere gay negli anni '70 in una famiglia dalla pesante matrice religiosa e patriarcale) non da poco. Detta così, sembrerebbe un film noioso, invece Jean-Marc Vallée non tedia nemmeno per un secondo grazie a due brillanti intuizioni: l'ironia che attraversa molti momenti della storia e l'ottima idea di non relegare sullo sfondo le epoche attraversate (si va dgli anni '70 agli anni '80) ma di renderle parte attiva nella storia mediante il look del protagonista e soprattutto mediante l'uso della splendida colonna sonora. Insomma, è questa una pellicola nata con tutti i crismi del film indie e sembra volersene fare fiero portatore; eppure non si ravvisa sterile compiacimento nell'opera ma anzi si respira una grandissima dose di sincerità. Inoltre, è tale la bravura del regista da farci affezionare a tutti i personaggi, compresi quelli negativi: si arriva alla fine del film ad odiare ed amare ad ugual modo il padre del protagonista come fosse nostro padre. Infine, è di estrema bravura anche l'ultimo tassello, il cast: a parte l'esordio di un bravissimo bambino dal viso terribilmente espressivo (Émile Vallée, figlio del regista), si conquista un posto nel cuore la sorprendente rivelazione Marc-André Grondin che dipinge sul suo corpo tutta la gioia di vivere e il tormento di chi non riesce ad accettare la propria identità rinnegata. Perché alla fine di questo si parla e si badi a non relegare tutta l'opera con l'etichetta 'tematica omosessuale'; qui si parla di riconoscere sé stessi, di accettarsi e vivere piuttosto che negarsi per non deludere gli altri e non ferirli.
Difficile che chi non abbia vissuto un'esperienza del genere riesca ad andare oltre i cliché di un certo genere di film; si fa presto a scambiarlo per volontà di compiacere lo spettatore, io invece ci vedo traboccare molta sincerità.

17.5.08

Hot Fuzz

Hot Fuzz di Edgar Writght
(2007) Uk\Fra

Hot Fuzz è uno di quei film che ti manda in corto circuito il cervello quando tenti di attaccargli un'etichetta. E' un film comico demenziale? Decisamente no, nulla a che vedere con quel genere che negli ultimi anni sta riscoprendo il successo degli esordi. E' una commedia? Beh, sì, ha moltissimo della commedia ma si può definirlo davvero tale? E' un film d'azione? Decisamente sì, il film ha molte scene dal ritmo serrato. Allora è un thriller? Anche, visto che la trama non è solo pretestuosa e funzionale alla risata ma anzi molto importante ai fini dell'opera, per non parlare dei momenti horror. Insomma, Hot Fuzz è un film da farti piegare in due dalle risate (c'è poco da fare, l'ironia inglese non lascia scampo) coltivando una trama apparentemente semplice che via via si complica (non tanto nei risvolti quanto nei dettagli: nulla di ciò che appare o viene detto è lasciato al caso ma s'incastra nel quadro generale del film anche moltissime scene dopo) e nell'ultima mezz'ora, seppur senza perdere la sua componente comica, diventa uno scatenatissimo film d'azione con tante di quelle esplosioni e sparatorie da far invidia ad Arma Letale. Hot Fuzz, inoltre, è ricco d'intuizioni narrative (sempre per la combinazione di commedia più tutti gli altri generi) per nulla da sottovalutare e che gettano nuove prospettive per questo genere di film: era dai tempi di Snatch di Guy Ritche che non si osava tanto a questi livelli.
Il film è, sostanzialmente, omaggio e parodia insieme alla Hollywood dei film d'azione ma anche satira sulla società inglese contemporanea; è soprattutto costruito su una sceneggiatura solidissima dove le psicologie dei personaggi e gli sviluppi della storia non sono certo lasciati a caso ma coltivati con grandissima cura. E la regia mantiene alto lo sforzo in tandem ad un montaggio serratissimo.
Hot Fuzz io lo consiglierei a tutti. E rigorosamente da vedere in gruppo.

15.5.08

Werner Herzog e David Lynch insieme

Ieri a Cannes è stata annunciata la produzione del film My son, my son che vede lavorare insieme Werner Herzog e David Lynch. La pellicola, sorta di horror che narra la storia vera di un omicido avvenuto a San Diego, sarà un prodotto a basso budget e avrà un regia decisamente sperimentale. Herzog (co-autore dello script insieme al suo storico aiuto-regista Herbert Golder) ne sarà il regista mentre Lynch figura come produttore esecutivo.
Era di questi giorni la notizia che Herzog avrebbe realizzato un remake de Il cattivo tenente avvalendosi di Nicolas Cage come protagonista ed ecco che spunta un altro progetto in collaborazione con David Lynch. Quest'ultimo, ricordiamo, è presente anche al Festival di Cannes in qualità di produttore del film Surveillance, firmato da sua figlia Jennifer Lynch.

14.5.08

Team America

Team America: World Police di Trey Parker
(2004) Usa\Ger

Il ritorno al cinema degli autori di South Park è un tantino deludente ma giusto un pò. C'era da aspettarsi qualcosa in più, questo è vero, ma in sostanza Team America è una grande opera di satira che mette in gioco l'America e si diverte a sovvertire gli stereotipi degli ultimi anni, uno su tutti l'impegno politico di molte star di Hollywood (Sean Penn, Michael Moore, Tim Robbins e via all'infinito... e alcuni di questi si sono davvero incazzati all'uscita del film!) abituate a tal punto a demonizzare il governo americano da diventare ciechi di fronte ad una minaccia terroristica di enorme portata.
Parker e Stone mettono in scena tutto ciò non più con un cartone animato bidimensionale ma con marionette; in ogni caso, rifuggono ancora una volta ambientazioni reali ed attori in carne ed ossa, probabilmente perché sanno che in pochi accetterebbero di interpretare un testo così diretto e senza fronzoli ma anche perché dietro la maschera del 'finto' possono prendersi la libertà di fare quel che vogliono: la lunga scena di sesso con tutte le posizioni e perversioni possibili ed immaginabili chi l'avrebbe accettata? Ed è solo un esempio perché fondamentalmente non è ciò che i personaggi fanno ma cosa dicono. E' nei dialoghi che i due autori trovano maggior espressività. Si ride di gusto ma stavolta l'intento è molto più oscuro: fantastica la ghiotta occasione di far carne da macello sia della Hollywood impegnata che dell'irrefrenabile esportazione violenta della democrazia americana, ma il punto qual è?
Nonostante questo, il film è puro divertimento. Astenersi chi non ha capacità d'intendere la satira... e l'Italia pullula di tali individui.

13.5.08

Frames: Lo scafandro e la farfalla

"Tutto questo fa' un libro?"
*
Cercate di vedere questo film.

12.5.08

Dopo Dito Montiel e Alpha Dog

Considerazioni a margine di questi due film vesti uno di seguito all'altro (senza pausa fra i due). Seppur essendo due film diametralmente opposti per vari motivi (uno autobiografico, l'altro pure è una storia vera ma narrato come fatto di cronaca; uno ambientato negli anni '80, l'altro ai giorni nostri) mi hanno suscitato più di una cosiderazione complessiva.
Il cinema americano sta cercando in tutti i modi di liberarsi del passato. Non si spiegano altrimenti i numerosi conflitti padre\figlio messi in scena negli ultimi anni (e non sono certo conflitti familiari ma ben più simbolici) o lo sconfortante quadro generazionale che ne viene fuori: i vecchi hanno fallito la loro missione morale e i giovani non riescono a gestire le proprie vite in modo da fare a meno di un esempio. E' il rigurgito degli intellettuali americani nei confronti di una cultura piuttosto becera ma predominante nel panorama politico e sociale degli USA. Sono allo sbando e fa piacere che almeno i registi se ne siano accorti. Non sono certo solo Guida per riconoscere i tuoi santi e Alpha Dog a indicare questa direzione ma grossa parte della cinematografia americana contemporanea (anche Into the wild, Il petroliere oppure Onora il padre e la madre e sicuramente anche Non è un paese per vecchi). Nonostate la volontà di fondo, però, i registi americani si sentono incastrati: hanno inquadrato il problema ma non riescono a superarlo. Non che l'arte debba fornire soluzioni, caso mai domande, ma è triste che la società (americana e non) non affronti questa seria analisi per cominciare finalmente ad affrontare il problema.
Un'altra cosa: il più cane degli attori americani sta sempre sopra la media recitativa del mondo. Sia il film di Montiel che Alpha Dog offrono un parco attori giovane, molti esordienti o poca esperienza, eppure sono sempre convincenti, efficaci; non monumentali ma ad avercene così!

Guida per riconoscere i tuoi santi

(2006) USA

L'esordio alla regia del musicista e scrittore Dito Montiel non ha nulla di nuovo da dire: c'è un pò di narrazione alla Scorsese, un pò di Bronx alla De Niro (c'è pure Chazz Palminteri), un pò di quelle atmosfere che abbiamo imparato a conoscere. Eppure Guida per riconoscere i tuoi santi è un film terribilmente efficace, di una perfezione quasi geometrica in tutte le sue componenti e composto da un bellissimo equilibrio fra passato e presente, fra vita reale e finzione; soprattutto sono ricordi che emergono, che arrivano, colpiscono gli occhi e il cuore quando meno te lo aspetti e in questo Montiel è bravissimo quando separa il video e l'audio, quasi a voler mettere in scena la confusione con il quale molto spesso la mente umana ricorda le cose. La storia di Dito è una storia vera, è l'autobiografia del regista che prima ne scrisse un libro di successo, poi spronato da Robert Downey Jr. ne fece una sceneggiatura del quale s'è voluto riservare la regia. E' insomma un film sincero narrato dal protagonista reale della storia che finisce con il trasmettere al film tutta la sua malinconia, le sue disperazioni, le amicizie e i santi, per l'appunto, che hanno accompagnato la sua vita. E soprattutto il tormentato rapporto con il padre che sarà la chiave che lo spingerà a tornare sui tristi luoghi dell'infanzia, il Queens degli anni '80 dove violenza e degrado erano le uniche risposte che il lato oscuro dell'America riusciva a produrre, dove la sensiblità di un ragazzino rischiava di essere soffocata fino alle estreme conseguenze.
Guida per riconoscere i tuoi santi è un film bellissimo, pieno di suggestioni, di poesia, di dolcezza e di tragedia. Può risultare anche commovente per chi certe cose le ha vissute, le ha sfiorate e offre un cast di attori di vecchia e nuova generazione da far paura: Shia La Beouf mi ha definitivamente conquistato, Channing Tatum non è solo tutto muscoli e Robert Downey Jr. si conferma (almeno per me) uno degli attori più sottovalutati degli ultimi anni. Ne ho nominati tre a caso perché tutto il cast merita una menzione speciale.
Un piccolo film, successo di critica e al Sundance, che non dovreste perdere.

11.5.08

Risultati sondaggio:Alemanno e il cinema

I 19 votanti del sondaggio "Alemanno vuole riformarela Festa del Cinema di Roma" hanno del tutto ignorato la risposta che rappresentava la via di mezzo (Effettivamente qualche ritocchino ci vuole ma senza renderla esclusiva al cinema italiano) e hanno preferito in 4 la tesi della rivalsa sulle precedenti amministrazioni (E' solo un moccioso che vuole demolire il lavoro del suo predecessore) e in 10 quello della dittatura soft (Da buon ex-fascista sa bene che il controllo della cultura è importante). Mentre 5 fessi (lo so, sono poco democratico!) hanno preferito sposare in toto la tesi di Alemanno preferendo una revisione completa di quel festival di merda.
Sarebbe carino, adesso, leggere anche le motivazioni che vi hanno portato a scegliere una qualsiasi di queste risposte.

Alpha Dog

Alpha Dog di Nick Cassavetes
(2006) USA

Alpha dog è il membro del gruppo che emerge, si impone d'autorità sugli altri e guida il branco. Seppur questa è una storia corale, è pur sempre l'alpha dog a muovere i comportamenti e le azioni degli elementi che compongono la sua gang e sarà lui (è il bravissimo Emile Hirsch di Into the wild) a dare inizio ad una violenta vicenda dal tristissimo epilogo.
L'unico motivo d'interesse per vedere questo film è che è la fedele trasposizione di fatti realmente accaduti e bisogna tenerlo bene a mente mentre lo si guarda, perché altrimenti il discreto sforzo che sta dietro alla lavorazione del film rischia di non trovare sbocco. La regia di Cassavetes è piuttosto fluida ma soffre di molti difetti, come l'eccesso di elementi del tutto trascurabili quali gli inserti da documentario con interviste ai protagonisti (interpretati però dagli attori), mentre risultano essere molto più efficaci di uno sterile annuncio alla 'la storia narrata si ispira a fatti realmente accaduti' le didascalie che compaiono durante il film e che tendono a ricordare la veridicità dei fatti riportati. Il resto lo fa l'impietosa messa in scena dei protagonisti: giovani sbandati dalla mente dirottata, che non hanno nessun aiuto dai genitori ma che anzi soffrono la loro mancanza d'autorità e di morale, abbagliati dalle luci del successo criminale e dei soldi facili, dalle droghe e dal sesso a portata di mano. Quel che resta è il fatto che un ragazzino innocente di 15 anni non uscirà sano da questa storia e risulterà l'unico a pagare veramente lo strazio di una certa cultura ben radicata in determinate zone dell'America. Il cast, poi, ce la mette tutta: nel primo tempo gioca ad accaparrarsi la simpatia del pubblico, nel secondo tempo fa vergognare quello stesso pubblico per aver pensato di poter empatizzare con loro. In questo molto efficaci anche gli adulti (Sharon Stone è ormai condannata a ruoli di donne sfregiate dai fatti della vita e comunque le riesce molto bene) che sembrano rimanere ai margini e invece hanno la loro bella dose di responsabilità.
C'era da aspettarsi molto peggio da questo film, invece riesce a centrare il punto nonostante gli evidenti limiti. Ah, sopresa delle sorprese: Justin Timberlake (al suo esordio cinematografico) dimostra di saper recitare. Ma più di tutti conquista il giovanissimo Anton Yelchin nel ruolo dell'adolescente sequestrato.

10.5.08

Consigli al nuovo governo

Due pescati a caso, altri li trovate qui.
Carlo Verdone: "Non penalizzare la cultura, non abbattere le cose buone che sono state fatte ad esempio a Roma, come la Festa del Cinema. Vogliono cambiare qualcosa e sono padronissimi di farlo ma non si possono penalizzare cose importanto come gli incontri con gli artisti stranieri. Non vorrei che non ci fosse più un incontro con David Lynch, Martin Scorsese, Tim Burton perché sono delle luci per noi, è insegnamento. Non solo per me ma anche per il pubblico che hanno la possibilità di conoscere personaggi universalmente riconosciuti come grandi talenti."
Paolo Virzì: "Un consiglio a Bondi: non ascoltare Brunetta che è l'autore di un indimenticabile inserto di Libero (ma lo hanno dimenticato tutti) che gettava palate di fango su tutto il patrimonio cinematografico italiano, da Rossellini fino al contemporaneo sulla base di un falso e livoroso luogo comune circa l'assistenzialismo o una specie di malafede sull'ispirazione culturale del nostro cinema."

Leone alla carriera per Ermanno Olmi

Il Leone d'Oro di Venezia alla carriera quest'anno sarà assegnato ad Ermanno Olmi, che già solcò da vincente la passerella del Lido con La leggenda del santo bevitore. Un italiano dopo due americani di fila degli ultimi anni, Tim Burton e David Lynch.

9.5.08

Cous cous

La graine et le mulet di Abdel Kechiche
(2007) FRA

Allo scorso festival di Venezia questo è il film che fece furore e che per molti meritava il massimo riconoscimento molto più di Ang Lee. Ora, se questo era il meglio di Venezia alloraerano messi maluccio. O più semplicemente, i critici non si sono ancora tolti il vizietto di osannare tutto quello che dilata la sua durata con scene inutili e tempi morti.
Cous cous è un film decisamente riuscito a metà. La parte buona è il cast bravissimo ed affiatato, eccezionali nel riuscire a rappresentare davvero realisticamente un'enorme ed allargata famiglia. A Kechiche il merito di riuscire a gestire un film corale decisamente arduo. E poi c'è la storia, molto attuale nell'andare a toccare temi sociali come l'adattamento degli immigrati, le loro difficoltà lavorative e i loro sentimenti di rivalsa che talvolta eccedono in azioni infelici; tutto ciò, fra l'altro, è narrato quasi in silenzio, senza evidenza ma anzi con molto tatto. La metà cattiva, però, ce la mette tutta per offuscare quella buona: l'iper-realismo del regista finisce con l'irritare parecchio; nella prima ora del film non succede praticamente nulla e viene bruciata tutta solo per rappresentare i personaggi, così come l'opera è piena di momenti decisamente inutili, continui riassunti della storia mediante scene superflue o dialoghi stiracchiati il più possibile. Il film dura 151 minuti e si sentono tutti, fino all'ultimo, quando invece avrebbe potuto durare tranquillamente almeno un'ora di meno;evidentemente una delle tante lezioni dei Dardenne non è stata recepita. Poi come al solito tutto precipità nell'ultima mezz'ora di film ma le cose erano talmente prevedibili che era facile aspettarsi perfino il classico finale aperto da film d'autore.
Insomma, Cous cous non mi è piaciuto. Vuole essere un film onesto e sincero ma inciampa in una quantità di difetti che gli troncano la via quasi fin da subito. Peccato.

7.5.08

Into the wild

Into the wild di Sean Penn
(2007) USA

Ci sono film che t'arrivano dritto allo stomaco e al cuore. Rompono tutti i filtri che possono esistere tra te e il grande schermo (e questo è un film che va visto rigorosamente sul grande schermo). Alla stregua di INLAND EMPIRE, Into the wild è una pellicola che si prefigge lo scopo di costruire immagini e suoni, pensieri e parole che siano una vera e propria esperienza di percezione (extra)sensoriale; non c'è un film da guardare ma una vita da seguire, non c'è una trama da sviluppare ma l'urgenza di raccontare una storia, non c'è qualcosa di preciso da imparare ma molto da dedurre e farsi scivolare sotto la pelle. E' un'esperienza umana da raccogliere, emblema di quanto di pericoloso e corrotto c'è nella società di oggi, decalogo di tutto ciò di cui bisogna privarsi per poi poterlo riacquistare con la dovuta consapevolezza che nulla ci è dovuto ma ce lo dobbiamo guadagnare, attraverso l'intelletto e la morale. Senza rifuggire l'altro perché essenzialmente "happiness is real only when is shared".
Sean Penn è un regista mai banale che di certo non è perfetto. Il film ha qualche debolezza soprattutto nel primo tempo, laddove certi eccessi formali di regia potevano tranquillamente lasciar fare alla storia. E viceversa. Ma sono del tutto trascurabili davanti all'imponente impatto dell'opera nel suo insieme. Il protagonista Emile Hirsch è da applausi di furore ma lo sarebbe ancora di più il vero Christopher McCanldess, l'uomo che sacrificò la sua vita alla ricerca di sé stesso e del suo posto nel mondo.
A Sean Penn dobbiamo molto per questo film. Quanto meno un inchino.

6.5.08

Alemanno, patria e Roma

La sera degli exit-poll per il sindaco di Roma ero in terrazza con alcuni amici e si commentava l'amaro risultato elettorale della capitale. Quando ormai era chiara la vittoria di Alemanno, ho detto: "tira brutta aria per la Festa del cinema. Non oso immaginare..." Ho centrato alla grande ma non mi aspettavo l'inizio delle danze già la mattina seguente.
Invece il buon Alemanno non ha saputo proprio resistere e nell'ottica provinciale tipica delle espressioni più grossolane d'Italia, il neo-sindaco ha già annunciato cambiamenti, rivoluzioni, patriottismo e apparentamenti con i David, accusando la Festa figlia di Veltroni di essere troppo modaiola, di andare troppo a ricercare star internazionali e film in anteprima mondiale, di dedicare troppa attenzione al tappeto rosso. Insomma, una serie di banalità degne di un post-fascista che gira con una croce celtica appesa al collo, quale è Alemanno! Fossero rimaste nel solito teatrino italiano, ce ne saremmo vergognati tra di noi e invece la cosa (giustamente!) ha superato i confini italici ed è giunta pure nella patria del cinema americano, dove si è sottolineata la lenta ma certosina pratica di demolizione di un evento giovane ma che in soli due anni ha raccolto tantissima attenzione, enormi investimenti, importanti ospiti ed anteprime mondiali e che soprattutto ha rappresentato la possibilità per molti (compreso il sottoscritto) di partecipare ad un evento che cercasse il contatto ravvicinato tra chi il cinema lo fa e chi il cinema lo guarda; una serie di elementi capaci di far tremare altri Festival (quelli sì bisognosi di restyling!) come quello di Venezia.
Le cretinate sparate da Alemanno sono notevoli. "La Mostra del Cinema di Venezia e la Festa del Cinema di Roma devono diventare cose molto diverse;così come è stata concepita, la Festa del Cinema rischia di essere il doppione di Venezia". Lo sono già cose molto diverse, caro sindaco e basta informarsi per cogliere le differenze; è uno sforzo troppo grande da chiedere ad un politico, quello di conoscere l'argomento sul quale vuole mettere bocca? "L'evento romano va apparentato ai David di Donatello." E perché mai mettere insieme le mummie dei David con la freschezza e il dinamismo della Festa? "La festa del Cinema la faremo su film italiani, sulla produzione italiana più che su star di Hollywood, in maniera tale che si promuova la nostra cinematografia." Dio, patria e famiglia. Siamo alle solite: non siamo capaci di creare qualcosa di innovativo, di competitivo e allora è meglio escludere tutti gli altri così quel poco di buono che abbiamo apparirà eccellente.
La sensazione di fastidio che provo è notevole. Il rischio è serio: la cultura italiana e soprattutto capitolina deve stare in guardia. Far chiudere baracca di colpo darebbe troppo nell'occhio. Demolire dall'interno fino al fallimento è molto più proficuo e meno rischioso.

5.5.08

Nuovo film di David Lynch?

Tra le tante cose di cui si potrebbe parlare (a breve un parere sulla querelle 'Festa del cinema di Roma' o un post da dedicare ad Into the wild), la notizia del giorno per me diventa automaticamente l'annuncio del nuovo film in cantiere di David Lynch. Annuncio piuttosto sommario e misterioso a dirla tutta ma ce lo faremo bastare. Andiamo con ordine, però.
E' uscito poco tempo fa un libro dal titolo 'Catching the big fish', raccolta semi-seria di gustose citazioni proferite da Lynch stesso, attraverso le quali il testo cercava di ricostruire il pensiero dell'autore non solo riguardo il suo approccio al cinema ma anche alla vita attraverso la Meditazione Trascendentale di cui Lynch si è reso ambasciatore attraverso la sua fondazione. Arriviamo ad oggi. Ad Hollywood Today, nell'annunciare un piccolo tour internazionale per la presentazione del libro, Lynch ha dichiarato di essere concentrato sul suo nuovo progetto cinematografico: un documentario on the road che riprende e narra le discussioni di Lynch con gente incontrata per strada riguardo il senso della vita. Attraverso questo viaggio vedremo anche come Lynch va alla ricerca del suo prossimo film (ovvero la sua 'Caccia al grande pesce') usando come mezzo la Meditazione necessaria a fargli cogliere l'idea di cui innamorarsi e da trasformare in immagini e suoni. Non è chiaro a questo punto se nel documentario vedremo estratti dal ciclo di conferenze che ha portato Lynch in giro per il mondo (anche in Italia) per promuovere la Meditazione Trascendentale o se saranno incontri inediti davvero ripresi durante un viaggio sulle strade americane.
Prerogativa di Lynch sarebbe far capire a tutti che "la gente ha diritto ad essere felice ma non lo sanno. Molti artisti sono legati all'idea che per creare qualcosa bisogna soffrire e vivere nel dolore. Io stesso avevo un sacco di rabbia e di depressione ma quando hai una costante emicrania non puoi creare niente e la Meditazione Trascendentale mi ha davvero aiutato in questo. Quando la mia mente si schiarisce, sono capace di afferrare un'idea come fosse un grande pesce: posso beccarlo, posso cucinarlo, posso anche mangiarlo ma non puoi creare un pesce, devi solo sapere afferrarlo." Ancora Lynch: "Quando faccio un film, mi innamoro di un'idea e godo nel farlo e quando è tutto corretto, lascio andare il risultato nel mondo. A quel punto perdo il controllo della mia idea e posso solo sperare che quell'idea arrivi alla gente."
Ovviamente così come non ci sono idee chiare sul nuovo progetto (che dovrebbe chiamarsi proprio Catching the big fish), non ci sono neanche date precise o quant'altro. Si può solo osservare come sia avvenuto ciò che era forse facile prevedere: INLAND EMPIRE è stato un punto di svolta per Lynch, zona d'incontro di tutto il suo passato e trampolino per tutto il suo futuro. A questo punto c'era solo da andare accapo e ricominciare da zero, con la consapevolezza che certi film di Lynch (pensate a capolavori come Velluto Blu) non sarà più possibile rivederli proprio perché il regista stesso è andato oltre e non può più tornare indietro. L'annuncio stesso di un documentario è quanto di più inaspettato ci si poteva attendere adesso da Lynch. E per me questa è una cosa grandiosa! Per voi?

4.5.08

I Film del Mese: Maggio 2008

  • Speed racer di Wachowski Bros. (9);
  • Cargo 200 di Aleksej Balabanov (9);
  • Chi nasce tondo di Alessandro Valori (9);
  • Sleapstream di Anthony Hopkins (9);
  • Solo un bacio per favore di Emmanuel Mouret (9;
  • Caccia spietata di David Von Ancken (9;
  • Notte brava a Las Vegas di Tom Vaughan (9;
  • Carnera - The Walking Mountain di Renzo Martinelli (9);
  • Chiamami Salomè di Claudio Sestieri (9);
  • Sfiorarsi di Angelo Orlando (9);
  • Mongol di Sergej Bodrov (9);
  • Una ballata bianca di Stefano Odoardi (9);
  • Gomorra di Matteo Garrone (16);
  • In Bruges di Martin McDonagh (16);
  • Alla scoperta di Charlie di Mike Cahill (16);
  • Ultimi della classe di Luca Biglione (16);
  • Superhero Movie di Craig Mazin (16);
  • Certamente, forse di Adam Brooks (16);
  • Underdog di Frederik Du Chau (16);
  • Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo di Steven Spielberg (23);
  • Be Kind Rewind di Michel Gondry (23);
  • Sanguepazzo di Marco Tullio Giordana (23);
  • La setta delle tenebre di Sebastian Gutierrez (23);
  • Il divo di Paolo Sorrentino (28);
  • The Hitcher di Dave Meyers (30);
  • Sex and the city di Michael Patrick King (30);
  • Wild Child di Nick Moore (30).

Mese ricchissimo, per quanto mi riguarda. Direttamente da Cannes: il mitico Indy, Gomorra, Il divo e Sanguepazzo (cinema italiano battagliero a maggio e non è detto che sia un bene). E poi quello che attendo spasmodicamente da un bel pò: Be Kind Rewind di Gondry. Ho escluso da questa lista i film già nelle sale al momento di questa pubblicazione.