31.10.08

Effedia - Sulla mia cattiva strada

Effedia - Sulla mia cattiva strada di Teresa Marchesi
Rome FilmFest 2008
L'ALTRO CINEMA/EXTRA

Fabrizio De Andrè l'ho scoperto tardi, che se ne era già andato. Anzi, è stato proprio il grande clamore intorno alla sua morte a farmelo conoscere. Da quel giorno di gennaio di dieci anni fa l'ho trovato e non l'ho più abbandonato o forse è lui a non avermi più abbandonato. Il fatto è che mi manca, mi manca proprio come potrebbe mancare un vecchio amico o un buon padre. Per questo mi risulta difficile essere pragmatico ed imparziale sul documentario di Teresa Marchesi presentato al festival.

Documentario che ha fra i suoi punti di forza quello di essere il primo autorizzato e prodotto da Dori Ghezzi e ciò significa garanzia di verità sulla figura complessa che era Fabrizio. Non è certo un documentario originalissimo: diviso in capitoli, si sforza di commuovere a tutti i costi (e vedere Franco Battiato che scoppia a piangere mentre si esibisce è davvero un colpo al cuore!) mentre è molto più apprezzabile la totale assenza di una voce fuori campo narrante: alla fine il vero colpo di genio è far parlare solo Fabrizio De Andrè attraveso interviste note ed inedite o attraverso la sua musica. Ecco allora che emerge il carattere 'eroico' del film che non vuole scavare morbosamente nella vita dell'artista (il documentario rimane abbastanza pudico anche sui quattro mesi di sequestro che il cantante e sua moglie hanno subito) ma lascia che sia l'artista stesso a parlare come in una lunga confessione che non dice tutto ma di certo esprime molto.

Sforzo apprezzabilissimo ed importante, Effedia fa breccia nel cuore non come documentario ma per il suo protagonista unico e graffiante.

30.10.08

El Artista (Rome FilmFest 2008)

El artista di M. Cohn e G. Duprat
Rome FilmFest 2008
CONCORSO
Sono entrato in sala convinto di andare a vedere un thriller psicologico e mi sono ritrovato davanti un film che è una spietata ma composta satira dell'arte contemporanea (che riguardi solo la pittura o coinvolga tutta l'arte, cinema compreso, fate un pò voi). C'è di buono che il film pur volendo fare satira adotta uno stile decisamente bizzarro, fatto di molti silenzi, base sonora ambigua e inquadrature strette e clatustrofobiche.
Il protagonista è un personaggio che sembra vivere come un parassita: non ha nulla da dire, è completamente vuoto dentro e il suo unico modo di presentarsi al mondo sembra aggrapparsi a qualcuno e vivere in funzione di quella persona. C'è a tal proposito una spiegazione in immagini sublime: il film si apre con Jorge, il protagonista, che fissa la sedia lasciata vuota dalla madre appena defunta. Quando molto più tardi quella sedia verrà abbandonata anche dal nuovo individuo che gli offre un'altra occasione di vita parassitaria, solo allora capiremo il significato di quelle immagini e l'inizio oscuro del film. El artista, insomma, è quell'esempio di cinema che si esprime totalmente in immagini, molto più che attraverso le parole o i risvolti di trama; immagini che riescono a chiarire perfino le psicologie dei personaggi. In tutto questo c'è la pesante ironia dedicata all'arte contemporanea, personaggi che sono caricature di sé stessi, critici ed esperti totalmente innamorati di un artista che non solo è completamente vuoto dentro ma non è neanche il vero autore delle opere per cui tutti sono impazziti. Opere che non vediamo mai poichè ogni volta che una di queste viene fissata da qualcuno nel film, noi guardiamo la scena attraverso la soggettiva del disegno stesso: l'opera che guarda l'uomo e non viceversa; in questo caso, poi, è l'opera che si prende gioco dello spettatore, è l'opera disegnata da un uomo in stato quasi catatonico che accumula mille spiegazioni ed altrettante critiche. Il gioco del film è forte e chiaro, gioca a dissacrare un mondo fatto di eccessiva teoria e poca pratica. I due registi, in tutto questo, piazzano un protagonista eccezionale che dice molto di sé senza quasi mai parlare (basta guardare, mi hanno fatto notare, il modo in cui cammina: da buon parassita, quasi si trascina!) e sul quale non si riesce ad assumere una posizione precisa, se odiarlo o compatirlo.
Un film argentino che è una vera sorpresa e che rappresenta un guizzo d'arte, forse l'unica opera vista fino ad ora che esprime un punto di vista fortissimo sul mezzo cinema e che lo esplicita attraverso una storia che è metafora e deformazione al tempo stesso.

When a man comes home (Rome FilmFest 2008)

En mand kommer hjem di Thomas Vinterberg
Rome FilmFesto 2008
L'ALTRO CINEMA/EXTRA

Finalmente Vinterberg ritrova la freschezza e l'originalità di un tempo, quelle doti che lo avevano portato a realizzare il film che spesso viene ricordato come il primo realizzato secondo le regole del Dogma95 e invece andrebbe citato per le sue ottime doti di piccolo, grande cult. QuestoWhen a man comes home, fra l'altro, ha molto in comune con Festen: l'ambientazione piuttosto ristretta, la tragedia familiare, l'ironia satirica (quando si dice del cuoco "andate a prenderlo, ha fatto 3000 miglia di strada per venire fin qui, è un artista, lui non prende l'aereo. Non lo prende, è un vero artista", impossibile non volare con il pensiero ad un certo socio di Vinterberg). Ma se in Festen l'ombra della pedofilia incestuosa raccontava un'intera famiglia e rendeva l'evoluzione del narrato estremamente drammatica, in quest'ultima opera l'attenzione è tutta dedicata al protagonista Peter (il bravissimo Oliver Møller-Knauer) ed alla mancanza di una figura paterna che gli ha causato non pochi problemi nella vita. Stavolta niente regia sporca: il buon Vinterberg adotta uno stile prettamente poetico, fatto di giochi di luce e riprese curate nei minimi dettagli, non curandosi di riempire ogni angolo della sceneggiatura di inutili particolari ma preferendo dedicarsi completamente all'immagine, facendo un uso delle musiche (e che musiche!) derivato dalla tradizione americana del cinema indipendente.
Nel risultato finale appare chiaro che Vinterberg non voleva dir nulla con questo film se non raccontare una storia emotivamente forte e glorificare il mezzo cinema stesso. L'abbondanza di quegli elementi tipici del cinema danese (le tragedie familiari quasi da soap-opera solo molto più credibili, la costante deformazione del reale mediante il grottesco e l'ironia, la capacità di sorridere anche nei momenti più tesi) si concretizzano in una serie di intuizioni visive intelligenti e nella scena d'amore, a mio parere, più dolce degli ultimi tempi... seppur abbastanza breve.

28.10.08

Collin Farrel e Gavin O' Connor in conferenza stampa

La battaglia della migliore conferenza stampa la vincono Colin Farrell e Gavin O' Connor per Pride and Glory: affabili, disponibili e per nulla annoiati, i due rispondono come fiumi in piena alle domande dei giornalisti. Al termine Farrell concede molti autografi mentre Gavin O' Connor continua a riprendere tutto con la sua telecamera e scambia quattro chiacchiere con chi gli fa ancora qualche domanda da sotto il palco (ad una ragazza che vuole mandargli soggetti gli dà un indirizzo e-mail).
Molta dell'attenzione è puntata su Colin Farrell (e del resto c'è Masenza a fare da moderatore che è un grande ammiratore dell'attore) e si lascia andare a molte dichiarazioni. "Pride and Glory esplora quelle zone d'ombra che spessio si formano ai margini del bene e del male, per questo interpreto un personaggio difficile da giudicare. Ho interpretato molti ruoli da poliziotto, da magistrato, insomma figure istituzionali che fanno rispettare la legge; in realtà cerco di non ripetermi mai perché mi annoierebbe. Il segreto di questo mestiere è mantenere una grande curiosità nei risvolti che ti offre: Jon Voight, mio suocero nel film, dopo 40 anni di carriera è ancora molto curioso così come Al Pacino che voi avete festeggiato proprio qui a Roma e con cui io ho avuto la fortuna di lavorare. L'onore è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti: non è necessario avere un codice, per lo meno io non ne ho uno ben preciso, cerco solo di tenere a mente una semplice regola e cioè di trattare gli altri come vorrei essere trattato io stesso. E' tutta una questione di rispetto, insomma."
Gavin O' Connor tiene l'attenzione sul film: "è stato scritto nel 1999 ma dopo la tragedia delle torri gemelle non me la sono sentita di realizzarlo; ho perso molti amici in quella tragedia e in quel momento la polizia di New York era su tutti i giornali, non era il momento adatto insomma. Dopo qualche tempo abbiamo ricominciato a lavorarci e si è materializzato questo cast fantastico con cui facevamo lunghe riunioni durante le quali non per forza parlavamo dei temi del film ma davvero di tutto. Così si è formato un feeling molto importante tra di me e gli attori che ci ha permesso di lavorare con molta serenità e tenendo a mente gli obiettivi del film." E' vero che Norton è difficile da gestire? "Edward è un grande professionista e spesso nella ricerca delle perfezione può diventare eccessivo, qualche volta sul set lo avrei strozzato. Ma in realtà è una gran brava persona, soprattutto generoso: mi è capitato di chiamarlo la domenica sera (quando non si lavora) e chiedergli una mano per una scena dell'indomani che non mi convinceva e lui subito si precipitava da me. Questo non è da tutti." Sullo stile del film: "i piani sequenza, le soggettive, le macchine da presa a mano sono tutte scelte ben precise per dare allo spettatore l'impressione di essere nella storia e di non stare semplicemente seduto a guardare un film. Abbiamo cercato il realismo: mio padre stesso era un poliziotto di New York quindi sappiamo bene quello che abbiamo messo in scena." E gli amici poliziotti come l'hanno presa? "Hanno apprezzato molto il film."

Pride and Glory (Rome FilmFest 2008)

Pride and Glory di Gavin O' Connor
Rome FilmFest
CONCORSO

Per nulla scontato e contro ogni previsione legata al genere, Pride and Glory si rivela essere un ottimo prodotto non certo memorabile ma che si fa notare.
La complessa trama che costruisce l'opera si rivela essere un ottimo pretesto per andare a toccare temi piuttosto sentiti in America e molto meno sensibili in Europa. La corruzione nel corpo della polizia (quella di New York, in questo caso) è lo sfondo per descrivere una società drasticamente allo sbando capace di mettere a dura prova non solo la propria integrità ma anche la sacralità del nucleo familiare, incarnato da un cast notevole e di grande richiamo. Quello che sceglie di fare O' Connor però è non sciorinare momenti d'azione uno dietro l'altro per trascinarsi fino alla fine ma mettere in piedi una storia dalle diverse sfaccettature, che tocca il poliziesco ma anche la tragedia (con notevoli punte di violenza, non ultima l'impressionante scena che vede un neonato minacciato di essere ustionato da un ferro da stiro bollente), tant'è che lo snodo principale della storia si esaurisce una buona mezz'ora prima del finale ed è a quel punto che diventa evidente quale siano gli scopi della regia. Da apprezzare tantissimo, inoltre, il grande rispetto dello stile del film per l'intelligenza dello spettatore al quale non viene spiegato tutto passo passo ma gli si richiede una grande attenzione e la capacità di rimettere insieme ciò che avviene con le psicologie dei personaggi e le loro azioni. E' per questo che l'insistito uso della macchina da presa non mi ha restituito una esasperata messa in scena da film d'azione quanto piuttosto il desiderio di stare addosso ai personaggi, un vero e proprio occhio privato sulle circostanze di ogni protagonista. E non è superficiale sottolineare le grandi interpretazioni che propone Pride and Glory (nessuno escluso) perché proprio su queste il film si gioca gran parte della sua riuscita.
E' un film che non tratta certo nulla di nuovo ma che si distingue per lo stile che adotta e soprattutto per i risvolti che propone. Un The Departed agli antipodi ma altrettanto efficace a suo modo.

26.10.08

La duchessa (Rome FilmFest 2008)

The Duchess di Saul Dibb
Rome FilmFest 2008
PREMIERE

Superate le mie personali resistenze che non mi rendono simpatici i film in costume (un limite che mi ha fatto rimandare continuamente la visione di un capolavoro come Barry Lindon), questo The Duchess presentato al Roma FilmFest si inserisce in quel filone di film che negli ultimi anni ha ritrovato nuove energie. Contro ogni aspettativa, è una pellicola questa che non cade nei facili tranelli insidiosi del genere stesso ma che anzi cerca di rimanere quanto più possibile sulla storia che vuol raccontare attraverso un narrato estremamente lineare. L'attenzione è tutta per la duchessa del titolo (grande merito va dato a Saul Dibb di aver resto credibile e niente male l'interpretazione di Keira Knightley) e i drammi che hanno sfregiato la sua vita ma la vera sorpresa dell'opera è l'approccio di Ralph Fiennes al suo personaggio: sgradevole oltre ogni modo, odioso e insensibile, cattura tutta l'attenzione ogni volta che è in scena diventando quel tipo di 'cattivo' che il pubblico ama odiare, ricco di sfaccettature e per nulla scontato.
Per il resto, nulla di originale o che impressioni particolarmente. Il primo tempo tiene il ritmo molto bene, si iniziano a sentire segni di stanchezza nella seconda parte: il finale pare fin troppo stiracchiato e insistito anche se la morale della donna sconfitta che non riesce o non può ribellarsi ai suoi tempi lascia parecchia amarezza.
Eccessivi gli applausi in sala, forse per compiacere il cast presente.

25.10.08

Ed Harris e Viggo Mortensen per Appaloosa

“E’ un film che non vuole essere a tutti i costi moderno, un vero e proprio omaggio ai western di un tempo e soprattutto ai personaggi che lo popolavano.” Così Ed Harris presenta la sua creatura, Appaloosa, accolta da un entusiasta applauso alla proiezione riservata per la stampa. Affiancato da Viggo Mortensen, i due vanno orgogliosi del film realizzato e dalla resa dei loro personaggi sul grande schermo.
Le domande dei giornalisti vertono su due elementi preponderanti nel film, l’ironia e l’importanza del ruolo maschile a scapito di quello femminile. “L’ironia è assolutamente voluta ed è un merito del romanzo dal quale è tratto il film: l’85% dei dialoghi sono stati tratti dalle pagine scritte così come erano” sottolinea Harris. “La mia preoccupazione come regista era di riprendere soprattutto i paesaggi. Non mi sono sentito sotto pressione durante la lavorazione se non nelle decisioni di budget: è sempre una responsabilità utilizzare soldi che qualcuno ti ha affidato per girare il film.” Interviene Mortensen: “guardando il film si ha l’impressione di avere avanti un’opera molto costosa, invece è un film costato relativamente poco, quasi un budget da pellicola indipendente.” Un progetto nel quale l’attore ha molto creduto: “un film che vuole solo raccontare una storia e non assumere chissà che posizioni morali. Certe espressioni usate dai protagonisti o certi loro atteggiamenti possono risultare molto poco condivisibili, ma il film è ambientato in un’epoca e in un luogo dove la legge spesso bisognava farla giorno per giorno.”
Un film di eroi. E quando qualcuno chiede ad Harris se ci siano ancora di questi eroi in America, la risposta dell’attore e regista è secca: “Abbiamo la Palin, no?”

Appaloosa (Rome FilmFest 2008)

Appaloosa di Ed Harris
Rome FilmFest 2008
PREMIERE

Forse non è un caso che durante l'incontro con la stampa Ed Harris fa saltare ironicamente fuori il nome di Sarah Palin quando si parla di eroi. Perché il bellissimo Appaloosa sembra avere fra i tanti suoi punti di forza quello di ridare centralità ad un ruolo, quello maschile, che forse è stato fin troppo maltrattato nel recente cinema americano. E se in Italia si punta sulle lacrime virili di Favino, Ed Harris mette in scena un wester tradizionale ed innovativo al tempo stesso (provare per credere) nel quale i personaggi maschili si prendono tutta la scena; un rapporto di amicizia virile destabilizzato solo dall'ingresso nella storia di una donna molto poco apprezzabile e responsabile di diverse nefandezze. Appaloosa è girato tutto sul rapporto tra i due protagonisti (lo stesso Harris e Viggo Mortensen, quest'ultimo in un'interpretazione bellissima in ogni sua componente: sguardi, voce, atteggiamenti) e sulla fine di un'era, quella del selvaggio west, che se da una parte mette via pistole e violenza, dall'altra concede l'ingresso in scena di una classe altrettanto selvaggia, quella capitalista (Appaloosa finisce laddove potrebbe iniziare Il petroliere di Anderson).
Lo sguardo di Harris regista è molto preciso: ricerca la fermezza della macchina da presa (le pochissime scene con macchina a mano, infatti, saltano subito all'occhio) pur avendo a che fare con una storia molto dinamica: ci sono i paesaggi da mostrare e la netta impressione è che non siano tanto gli uomini a cambiare quanto la terre intorno e di conseguenza le loro possibilità di scelta e di movimento (dove per movimenti non si intende andare dal punto A al punto B, ovviamente). C'è chi questo cambiamento lo assume pur non volendolo dare a vedere e chi invece ne prende atto ma preferisce sfuggirgli e portare avanti la propria esperienza su quegli stessi binari finchè dura.
Ecco allora che Appaloosa ritorna al presente pur sceneggiando un tempo e dei personaggi che non esistono più, volendo solo raccontare una storia dai ricchissimi momenti ironici fatta di personalità affascinanti e forti e tralasciando le implicazioni morali che per forza di cose saltano fuori; nel fare ciò Harris non riesce ad annoiare neanche un attimo stando ben attento a non far durare il film quella mezz'ora in più a cui un presunto autore di mestiere non avrebbe saputo rinunciare e mantenendo salda la regia anche nei momenti più statici.

24.10.08

8 registi contro la povertà

L'immancabile film di impegno civile di ogni buon festival è qui a Roma nelle vesti di 8, film corale con otto registi diversi: a ciascuno il suo segmento dedicato ad uno degli otto obiettivi mondiali per ridurre la preoccupante povertà che afflige il nostro pianeta. Alla conferenza stampa di presentazione si sente la mancanza di Gus Van Sant (e forse è un bene visto che il segmento più disprezzato sembra essere stato proprio il suo) mentre i registi presenti non si sottragono alle domande e all'importante causa civile che li ha portati verso questo progetto.
"Progetto che inizialmente doveva avere la benedizione dell'ONU" confessano i produttori ed ideatori di 8 "ma dopo che l'ONU ha visto l'episodio di Mira Nair, non solo ha ritirato il suo nome dal film ma anche osteggiato in tutti i modi la sua circolazione nei festival e nei cinema." - "Sembra che la mia storia, la storia di una donna araba che abbandona suo marito per diventare la seconda moglie di un uomo poligamo, offenda gli arabi e la loro religione" dice Mira Nair "eppure per affrontare il mio episodio, quello della liberazione culturale delle donne, non potevo immaginare storia più adatta." Il giovanissimo Bernal sembra sparire fra i grandi che lo circondano; sprofondato nel suo divano senza l'ausilio del traduttore ("mi sto esercitando con l'italianio") si dichiara molto orgoglioso e fortunato ad aver partecipato ad 8: "non solo per l'onore che si ha ad avere il proprio nome accanto a dei mostri sacri della cinematografia mondiale, ma anche per l'importanza di questo progetto e dei suoi scopi. E' un film che andrebbe fatto girare il più possibile."
"Questo film non cambierà nulla" gela gli entusiasmi Wim Wnders "se a vederlo sarà soltanto la gente. Purtroppo il popolo non può fare niente, il potere decisionale che può cambiare qualcosa è dei governanti: a loro andrebbe fatto vedere il film, su di loro andrebbero fatte pressioni affinchè qualcosa cambi."

David Cronenberg - Mutazione regista/fotografo

David Cronenberg arriva in notevole ritardo ma si fa perdonare: le sue risposte sono ricche, ben articolate ed approfondite (e comunque nessuno osa sollevare obiezione alcuna al ritardo). E' al Festival di Roma per incontrare il pubblico e presentare una mostra fotografica particolare: 50 immagini tratte dai suoi film digitalmente rielaborate dallo stesso regista (con l'aiuto del figlio Brandon) per trasformarle in nuove opere d'arte, non fotogrammi ma immagini che hanno un'indipendente vita dal film che le ha generate.
Gli argomenti sono vari ma il sottofondo è sempre uno: la trasformazione, la mutazione che da sempre ossessiona i suoi film; la risposta del regista è ad effetto: "noi umani non siamo altro che animali che si sforzano in ogni modo di trasformarsi in qualcos'altro che sia distinto dall'animale. Ma ci vorrebbe un bel pò per affrontare questo tema ricorrente dei miei film..." Qualcuno ben pensa di tirare in ballo una vecchia dichiarazione di Cronenberg sull'ultimo film di Kubrick: "è vero, ai tempi ho detto che se Kubrick era morto senza lavorare al missaggio del film, allora quell'ultimo film è da ritenersi incompleto. Il regista si occupa di questi particolari che sono ciò che fanno la differenza; il sonoro, poi, è di una importanza capitale: se provate a vedere un film dove non c'è alcun effetto audio, vi accorgerete di avere davanti qualcosa di anormale, di anomalo. Ecco allora che la cura di queste cose è il mestiere del regista, anche perché anche il più piccolo particolare audio può fare la differenza. Dunque, se Kubrick non si è occupato del missaggio, allora Eyes Wide Shut è da ritenersi incompiuto." E del suo ormai prossimo esordio come autore letterario? "Tempo fa qualcuno mi ha detto che dovrei scrivere un libro. Il che è curioso perché io sto qui nelle vesti di regista quando invece avrei voluto fare lo scrittore. Allora adesso ho scritto finalmente un libro che vedrà la luce ormai prossimamente in diversi paesi. Il problema è che fino ad ora ho scritto solo 60 pagine e comunque non parlo volentieri dell'argomento. Di certo non sarà un libro alla Stephen King!" In sala si respira aria di fanatismo, i presenti ridono di gusto alle battute di Cronenberg (soprattutto Anselma Dell'Oglio!). Qualcuno chiede a Cronenberg se ritiene idonea la distinzione tra cinema di nicchia e popolare: "non amo quei termini e non capisco la distinzione. Il compito di un regista è mirare ad un pubblico il più vasto possibile perché si suppone che si abbia un messaggio da veicolare, qualcosa da dire. Non ha senso indirizzarsi solo ad una nicchia" e in questi Cronenberg gioca in casa visto che i suoi film pur avendo una forte componente cerebrale, risultano essere comunque molto popolari. "Una volta Oliver Stone mi ha chiesto cosa si prova ad essere così marginali!"

L'incontro dura poco visto il ritardo accumulato ed i registi di 8 che aspettano dietro le quinte per il loro turno. Cronenberg si intrattiene a lungo a firmare autografi ma viene portato via per il red carpet e per l'incontro con il pubblico che lo aspetta, nel quale presenterà la sua mostra e commenterà alcune scene dei suoi film. Non sono un grande fan di Cronenberg ma gli riconosco un approccio al cinema originale nonchè una notevole onestà intellettuale.

23.10.08

Incontro stampa L'uomo che ama: Maria Sole Tognazzi, Favino, Bellucci, Rappaport, Carmen Consoli

L'uomo che ama è il film di apertura di questa terza edizione di Roma. Alla regia c'è Maria Sole Tognazzi che dice di voler "mettere in scena qualcosa di inusuale nella narrativa: la sofferenza per amore dell'uomo. Perché gli uomini che soffrono esistono, solo che non si fanno vedere o non vengono raccontati." Favino, protagonista della pellicola, conferma le intenzioni e gli obiettivi della Tognazzi: "è vero. Anche io ho sofferto, sono stato lasciato oppure ho lasciato, ho sofferto oppure ho fatto soffrire. E' una realtà che è stata raccontata già altre volte: la differenza la fa il modo in cui viene raccontata. Credo che Maria Sole abbia utilizzato un approccio inedito." Ksenia Rappaport, suggerita da un giornalista, tira in ballo nomi importanti come Checov ma la Tognazzi subito si schernisce. Gran parte dell'attenzione è per Monica Bellucci (e per gran parte dell'attenzione si intende le domande più sceme che un giornalista cinematografico possa fare) ma l'attrice ce la mette tutta per schivare certe idiozie facili da dire e cerca di spostare l'attenzione sul film: "è un film importante anche dal punto di vista femminile; mette in scena non solo la sofferenza di Favino ma anche quella femminile, in questo caso del mio personaggio nel quale ho riconosciuto molte delle mie fragilità. Maria Sole è una mia amica e credo che abbia inserito parte di me nella donna che interpreto." Presente in sala anche Carmen Consoli che firma la colonna sonora del film: "è la mia prima volta e abbiamo adottato un metodo un pò inusuale. Alcune canzoni erano pronte ancora a riprese in corso" e infatti, dice la Tognazzi, gli attori ascoltavano i brani come fase preparatoria all'interpretazione. "Sta di fatto che sono stata molto coinvolta da ciò che viene narrato" continua la Consoli "e mi sono ritrovata ad amare l'uomo che ama. L'ho sentito diventare una parte di me."

22.10.08

Al Pacino: guardate che gli avete fatto fare!

Puntuale come suo solito (“sul set sono sempre puntuale, tranne una volta che arrivai in ritardo. E quella fu l’unica volta che Lee Strasberg mi rimproverò”), affascinante come non ci si aspetterebbe, Al Pacino emana grandezza e autorevolezza anche nell’incontro con la stampa. Il tono della sua voce è sempre controllatissimo, dosato, studiato (“spesso mi ritrovo a recitare anche nella vita di tutti i giorni e allora in molti mi rimproverano ‘smettila di fingere’”), sale o scende di tono come un grande teatrante e ciò nonostante non disturba, non se la tira, semplicemente è il suo mestiere e non può farci nulla.
Al Pacino parla molto e a lungo, ad ogni domanda si ottiene una risposta che è risposta a molte altre domande. Ringrazia per il premio alla carriera conferitogli – “è un onore per me ricevere questo premio a questo punto della mia carriera, proprio perché è un’occasione per guardarsi indietro e riflettere su ciò che si è fatto” – e parla molto volentieri dell’Actor’s Studio, delle sue regole e dei suoi sistemi: “è gratuito, se passi l’audizione ne diventi membro a vita ed è una vera e grande scuola di recitazione. Io l’ho vissuta negli anni ’60, quando la regia delle prove era di Elia Kazan, quando il nostro maestro era Lee Strasberg. Non facevamo altro che ripetere le stesse scene moltissime volte, fin quando l’essenza del personaggio ci entrava dentro. Il primo trucco è imparare le battute: fatto quello, puoi procedere sul resto lasciandoti andare, dando la tua impronta al personaggio che stai interpretando. Per poi abbandonarlo quando tutto è finito. Un tempo, quando ero più giovane, mi risultava difficile svestirmi del mio personaggio a fine riprese; poi ho capito che è qualcosa che va fatto con molta naturalezza e in maniera decisa. Tant’è che quando mi sono ritrovato a dover ripredere un personaggio, magari a due mesi di distanza per dover ripetere delle scene, mi risultava molto difficile rientrare nella parte. Una volta ho addirittura confuso due diverse parti di Shakespeare sul palcoscenico.” Il teatro per Pacino rimane il primo e grande amore: “lo preferisco al cinema per la sua immediatezza, per il coinvolgimento dal vivo del pubblico. E’ da lì che ho cominciato e non l’ho mai abbandonato.” Pacino porta in dote i primi minuti della sua nuova regia e promette che magari l’anno prossima verrà a presentare il film nella sua interezza: “è un lavoro che mi sta costando molta fatica, sono già al terzo anno di lavorazione ma dovremmo essere quasi alla fine.” Come ci si aspetterebbe, Pacino è molto affabile, anche autoironico e davvero non sai quando sta mentendo (vedi: recitando) e quando è sé stesso. Qualcuno gli chiede se si sente un migliore attore in età matura e parte un lungo aneddoto su un misterioso attore e sulla grande ispirazione che si ha al momento e dunque sull’ininfluenza dell’eta su determinate cose. Ma alla fine è categorico: “cosa ci insegna tutto questo? Niente!”

L’incontro è stato questo, un puro fiume di grande personalità. Al termine si aveva la netta impressione di aver assistito a qualcosa di grandioso (una conferenza!) e poter dire “io c’ero” diventa motivo di infantile orgoglio. Quando sono riuscito ad avvicinarlo e a stringergli la mano per lunghi, interminabili secondi (mi ha guardato negli occhi, si aspettava che dicessi qualcosa ma io ero lì totalmente imbambolato e allora mi ha detto: “thank you for coming here” !!) mi sono addirittura commosso: un monumento vivente del cinema era lì ed è stato generosissimo nell’esprimere le sue opinioni, le sue riflessioni, i suoi ricordi.
Quando un tizio stupidissimo (credo fosse l’equivalente inglese degli inviati de Le iene) gli ha urlato “Obama or McCain?”, Pacino si è illuminato in un grande sorriso e ha scandito: “O-ba-ma!”Il resto è stato un affollatissimo red carpet (con contestazione generalmente pacifica di un centro sociale chiuso da Alemanno) che ha anche dato una netta impressione di quello che è diventato e diventerà questo RomeFilmFest. Ma queste considerazioni le lascio ad un altro post. Perché non so se si è capito ma io… ho incontrato Al Pacino!

Cartolina da Roma (FilmFest) - 1

  • Ho incrociato Gian Luigi Rondi. Mi ha lanciato uno sguardo del tipo: "perché non mi fai le rimostranze? Non lo sai chi sono io?"
  • Il villaggio dedicato al Festival è molto più scarno dell'anno scorso, non so se perché ancora in allestimento (si inizia stasera ed è ancora in allestimento?!?) o rientra nel grande piano di demolizione interna, teoria cospiratrice di cui io sono un grande sostenitore (o forse l'ho inventata proprio io, non lo so)
  • Come al solito, i biglietti per gli avvenimenti più succulenti di oggi e domani sono già introvabili. Cominciamo bene!
  • L'anno scorso il programma delle conferenze stampa era integrato nel programma delle proiezioni. Quest'anno è sparito! Al desk per la stampa, però, ti consegnano la scaletta di quanto previsto giorno per giorno. Cioè, mi tocca andare ogni santo giorno a ritirare questa scaletta senza avere il tempo di organizzare le giornate in modo che alcuni eventi non coincidano con gli altri. Astuta mossa dell'organizzazione!
  • La borsa che ti consegnano all'ufficio accrediti di quest'anno è di una bruttezza unica. Cioè, è laccata!! Quelle dell'anno scorso non solo erano bellissime ma erano esemplari unici (sul davanti vi erano pezzi di pellicole di film diverse per ogni borsa)
  • Credo che il parcheggio interno dell'auditorium abbia ispirato il labirinto di Shining (lo dico perché due gemelline mi hanno invitato "a parcheggiare con noi"...)
  • La Detassis è dimagrita!
  • Ho visto poche e corte file alle biglietterie. O tutti comprano on-line o l'affluenza di quest'anno andrà al ribasso.

Continua...

18.10.08

Le scene inedite di Fuoco cammina con me

Per chi in questi anni ha vissuto nell'incubo di non poter mai conoscere l'enorme mole di quantità ancora oggi inedita del cult Fuoco cammina con me, è arrivata finalmente una valida alternativa all'interminabile attesa di vedere un giorno quel materiale editato.
Il sito Dugpa.com sta provvedendo a mettere on-line le parti dello script eliminate dal montaggio finale; le trascrizioni sono talvolta accompagnate da immagini inedite dal set delle stesse scene o di Lynch all'opera durante la produzione. La cosa più interessante è che si può anche sapere (dalle note aggiunte alla fine di ogni scena) quali di queste furono effettivamente girate. Per ora sono on-line la prima e la seconda parte di questo lavoro; la terza parte dovrebbe essere presto pubblicata e ve ne darò notizia. Tra le cose più interessanti, la scena onirica ambientata in un "negozio conveniente": non solo vi è riportata l'intera sequenza dei dialoghi e le differenze fra ciò che era sulla pagina e ciò che è stato poi tradotto in immagini (ad esempio, l'uomo vestito in rosso e il primissimo piano della scimmia non erano sulla sceneggiatura) ma dà un certo brivido l'affermazione di Michael Anderson secondo la quale "ciò che si è visto nel film non si avvicina neanche un pò all'enorme mole di materiale che fu filmata quel giorno".

17.10.08

Annozero: la serialità spezzata

Sta avvenendo qualcosa di strano in televisione. E ovviamente faccio riferimento ai serial che io seguo.
Quello che mi sembra stia succedendo non è un buon segnale ma non lo è per i serial in questione (anzi!) ma per la produzione televisiva in generale. Cerco di spiegarmi con pochi esempi che spero siano efficaci.
Dr. House: al termine della terza stagione, il cast del serial viene completamente stravolto; i protagonisti principali (quelli che componevano il team di House, per intenderci) prendono altre direzioni e diventano semplici comparse nell'arco narrativo di tutta la quarta serie. Lost: il quarto ciclo del serial si è concluso ridefinendo completamente i confini temporali sino ad allora visti (e in questo già il finale della terza stagione era stato d'impatto), dando una dimensione completamente nuova alla cronologia dei fatti accaduti, che stanno accadendo, che accadranno. Dexter: il serial killer più famoso della tv si ritrova al termine della seconda stagione ad un passo dalla sedia elettrica ed è costretto a causa di ciò a disfarsi di tutto il suo passato, salvo poi dover ricominciare daccapo a coltivare i proprti istinti, rivalutando in toto i propri metodi e i propri principi. Nip/Tuck: finisce la quarta stagione e l'ambientazione del serial viene completamente trasportata altrove (da Miami a Los Angeles) con i due dottori protagonisti costretti a ricominciare da zero la loro fortunata carriera e a dargli una nuova impostazione, se possibile, ancora più perversa. Desperate Housewives: finisce la quarta serie e ci si proietta cinque anni avanti negli avvenimenti ritrovando le personalità dei personaggi principali completamente stravolte (l'idea del salto temporale, mi suggeriscono, è stata adottata anche da un altro serail, One Tree Hill, che però non seguo e non posso aggiungere come esempio).
L'America televisiva sbanda, insomma. Non nascono più nuove produzioni che partendo dai confini dei serial precedenti si spostano ancora oltre rinnovando di volta in volta il nobile genere dei telefilm. Sono i serial già in onda a mostrare ancora più coraggio e passione di quelli che ancora non sono nati o stanno nascendo, rinnovando dentro di sè stili e linguaggio senza paura di far mancare al proprio target quelle certezze a cui ci si abitua e che sono parte pregnante della serialità (se concordiamo che per serial non s'intende solo una serie di avvenimenti spalmati in più episodi ma la presenza costante di tematiche alle quali ci si interessa e personaggi ai quali ci si affeziona).
Non c'è nuovo che avanza, è il vecchio che si svecchia. Io ci vedo qualcosa di importante (per la produzione televisiva) ed inquietante (la carenza di idee nuove) che potrebbe avere importanti risvolti nel futuro prossimo della tv americana e non.

14.10.08

Ma che colpa ne abbiamo noi

Venerdì 17 ottobre per il MullholandBlog è una buona data per ritornare operativi.
Stay tuned!

4.10.08

Beautiful Dark nelle librerie americane

Beautiful Dark, il monumentale libro su David Lynch scritto nel corso di 10 anni da Greg Olson, è uscito nelle librerie americane e sembra stia riscuotendo un notevole successo fra i fan del regista in quanto si presenta come l'opera più completa sul regista, la sua vita professionale e personale, raccogliendo le rivelazioni dell'autore stesso e di chi gli è stato accanto lungo la sua vita, umanamente e professionalmente. L'autore di Dugpa si sbilancia non poco nel recensirlo:

"I have to admit, that for years, being a long time fan of Lynch, I have
read practically every Lynch related book, news article, and watched every interview that I could possibly get my hands on. After reading this book, I was overwhelmed to find out how much I didn’t know about the man. "

Il libro si spreca dettagliatamente in aneddoti (vecchi ed inediti) su qualsiasi opera prodotta da Lynch e sulla sua vita privata, le esperienze sul set e le gioie e i dolori della vita. Un'opera, all'apparenza, imprescindibile per qualsiasi amante di Lynch.

In attesa dell'eventuale traduzione italiana, potete acquistarlo in lingua originale e non ad un prezzo economico su Amazon.

2.10.08

Roma 2008: il programma

E' finalmente completo il programma del Festival Internazionale del Cinema di Roma 2008 (leggi Festa del Cinema di Roma). Quello che salta subito all'occhio è una scelta molto più europea rispetto alle due precedenti edizioni, nettamente in diminuizione (anche se ben presenti) i nomi di richiamo hollywoodiani e di molto aumentati quelli dei poco noti. La selezione ufficiale (concorso e fuori conocorso) presenta ben 5 film italiani (anche se Rondi ci tiene a precisare che "l'italianità non è stata una prerogativa"), il resto offre per lo più opere europee ed orientali. Come annunciato, questa edizione ha ben poco dell'impronta di Rondi poichè quest'ultimo è stato chiamato al sacrificio supremo quando ormai molti dei giochi erano fatti (anche se sembra abbia posto il veto su opere importanto ed attesissime come l'ultimo di Gus Van Sant, Milk). Sponsorizzato dal Festival, negli stessi giorni a Roma sarà ospite una mostra fotografica di David Lynch, 30 scatti inediti (questo decisamente non deve essere andato giù a Gian Luigi "il nuovo che avanza" Rondi).
Io ci sarò, cercando di vedere il più possibile e cercando di aggiornare in tempo reale il blog. Se qualcuno di voi vuole consigliarmi gli 'imperdibili' a vostra opinione, sarò ben lieto di farvi da inviato speciale. Si accettano suggerimenti, insomma.