22.6.10

Il profeta

Un prophète di Jacques Audiard
(2009) Fra\Ita

L'eclettico Audiard possiede la capacità di realizzare un'opera complessa, profondamente diversificata al suo interno e così piena di trama senza perdere nemmeno per un attimo l'attenzione dello spettatore medio e quella dello spettatore più smaliziato. Un profeta (e non Il profeta, come assurdamente tradotto in italiano da qualcuno che non si è nemmeno accorto del sottile gioco di rimandi che la pellicola imbastisce grazie al titolo) ha al suo interno una storia stratificata e piena di eventi che riescono a raccontare ed a raccontarsi attraverso una serie di scene potentissime pregne di significato che continuamente sbandano da un registro all'altro; infatti, seppur tutto il film ha un tono durissimo, molto crudo e carico di violenza in ogni inquadratura, Audiard riesce ad inserirvi (in maniera del tutto logica e per niente fastidiosa) degli inserti al limite dell'onirico che vanno a completare un mosaico di per sé già ricco: dopo che assistiamo al primo omicidio compiuto dal protagonista (una scena bellissima costruita sull'attesa che la precede), non ci meravigliamo in seguito di rivedere quel morto ammazzato comparire come fosse una sorta di coscienza, forse perché già prima si rimane interdetti sul primo di tanti fermo immagine con didascalia. Da lì in poi questo gioco di regia diventa un punto chiave della stessa narrazione filmica, finendo addirittura per anticipare alcuni risvolti di trama o addirittura insinuando la vocazione "profetica" del protagonista. 
Il film si "riduce" pur sempre ad essere la storia pazzesca di un ragazzino di 19 anni che si ritrova a dover scontare 6 anni di carcere e che da quell'esperienza ne uscirà segnato. Il bello è scoprire quale tipo di segno si porterà addosso. O se caso mai sarà lui a lasciare un segno in quel carcere. Tutto questo viene narrato attraverso una "congiunzione" di immagini che è vero cinema, cioè una serie di scene che nella loro somma ci consegnano un quadro di perfezione ed originalità stilistica che è soprattutto pura narrazione audiovisiva. E c'è poi la sottile ironia che ruota intorno a quel titolo ambiguo. 
Non lo potrete sottovalutare. 

17.6.10

The Road


The Road di John Hillcoat
(2009) USA

Difficile immaginare il coraggio dei produttori che hanno voluto questo film: una storia disperata, gelida che si muove fra ambientazioni pregne di morte e che porta con sé un'assoluta mancanza di speranza. 

Un film bellissimo. Una storia che usa il pretesto della fine del mondo per raccontare un fortissimo sentimento antico, l'amore di un padre verso un figlio, quel genere di amore forte a tal punto da voler rendere legge un desiderio legittimo: un genitore non dovrebbe mai sopravvivere ad un figlio. E' anche per questo che si rimane spiazzati davanti a certe scene di terrificante violenza: non sto parlando del macabro mattatoio di carne umana ma di quando Viggo Mortensen insegna a suo figlio come suicidarsi, scelta obbligata per non farsi acciuffare dai "cattivi ragazzi"; o quando lo stesso padre punta una pistola sulla fronte del bambino per risparmiargli le più atroci sofferenze. Ecco che cos'è The Road, ecco chi è Cormac McCarthy e c'è da credere che John Hillcoat abbia rispettato fedelmente la prosa del romanzo perché sembra che la regia si limiti a ben poco, sottraendo altrove e dedicando maggiore attenzione al montaggio e ad una fotografia magnifica che sembra anch'essa protagonista: nei rari flashback di una vita normale, è tale lo scarto di luce da fare male agli occhi, proprio come fa male ai protagonisti ricordarsi quella vita che non possono più avere. 
In certi momenti la storia sembra ripetersi inutilmente e forse ad Hillcoat va imputata una certa ridondanza nell'esprimere determinati concetti, ma se si ha il coraggio di arrivare fino alla fine ci si può godere la grandissima interpretazione di Mortensen (attore drammatico ormai maturo e completo), ci si può avventurare nella visione del mondo apocalittica eppure eroica di McCarthy. Soprattutto ci si può commuovere nella consapevolezza che siamo tutti esseri finiti e che la nostra unica speranza è la morale degli uomini. Un film di rara ambizione.

13.6.10

Moon

Moon di Duncan Jones
(2009) Uk

Fulminante esordio al lungometraggio per Duncan JonesMoon è un film atipico sotto molti aspetti: lo è per essere un film inglese, lo è per essere un film di genere, lo è per essere un film ambientato sulla luna! In tutte queste cose il regista dimostra di avere una lucidissima originalità, fino a partire della storia che comincia in un certo modo per poi andare a sbandare da tutt'altra parte: così all'inizio siamo convinti che il film voglia narrare della solitudine degli astronauti e invece... Fra l'altro, la pellicola lascia molte porte aperte, risolvendo sì il plot narrativo (con un finale bellissimo e perfino divertente) ma lasciando scappare verso svariate vie di fuga molti spunti lanciati, così da restituire allo spettatore quella inquietudine e quella malinconia che la vita sulla luna potrebbe scatenare. E' comunque la mano di Duncan Jones a tenere tutto insieme: non che manchi qualche ingenuità ma il giovane regista riesce a dare un'impronta personalissima a tutta la storia, potendo contare su un protagonista scatenato ed esageratamente bravo che porta avanti da solo tutta la storia (Sam Rockwell) e sulle musiche di Clint Mansell, autore di una colonna sonora che, come non mai negli ultimi anni, ha un ruolo fondamentale ed importantissimo nell'economia del film, restituendo dignità a questo elemento cinematografico che troppo spesso è stato umiliato e ridotto a sterile sottofondo.