27.2.09

Sex and the city - Il film

Sex and the city di Michael Patrick King
(USA) 2008

Quando portano un serial di successo al cinema c'è sempre il gusto di scoprire come l'avranno adattato, cosa avranno tenuto e cosa avranno buttato. Se sono riusciti, insomma, a trasformare la tv in cinema senza snaturare l'idea di partenza (l'ultimo buco nell'acqua, in questo senso, lo ha fatto X-Files - Voglio crederci). Ecco, si può tranquillamente dire che Sex and the city non ci è riuscito: non è propriamente un film quello che si vede, non è neanche televisione portata così com'è sul grande schermo ma è semplicemente un maxi-episodio della serie girato per il cinema. E sì che questo è già tanto, se si tiene conto che uno dei punti forti del serial era proprio quel ritmo fresco e mai stancante che caratterizzava gli episodi (che duravano, di solito, non più di 29 minuti). Il film, poi, è divertente quanto basta e mantiene inalterata quella capacità di saper raccontare le donne e le loro fragilità, le loro ossessioni, i loro difetti, senza mai scadere nell'eccesso di consacrazione ma neanche di commiserazione; mettendo, insomma, tutti sullo stesso livello: un uomo non è peggio di una donna e viceversa, ci sono semplicemente differenze sostanziali. Bella scoperta, verrà da dire, ma stiamo parlando pur sempre di una commedia senza tante pretese. Il serial ne aveva (la caratterizzazione di New York come fosse un personaggio vero e proprio, più che uno sfondo) e spesso le soddisfava pienamente. Il film vuole solo raccontare come sono proseguite le vite delle quattro protagoniste e nel farlo riesce perfino a costruire una storia che può coinvolgere anche quella fetta di pubblico che non ha mai guardato la serie in tv (e infatti vedi il grande successo di pubblico). 
C'è un grande fallimento: non c'è nessuna sperimentazione tra due mezzi ormai sempre più misti (tv e cinema), neanche un'ombra di auto ironia al riguardo. Ma non possiamo pretendere tutto.

26.2.09

Uno sguardo altrove: Lie to me

Il cinematografico Tim Roth è il protagonista di Lie to me, nuovaserie (diretta nemica degli ascolti per Lost) che pesca a piene mani dalle tendenze televisive di questi anni e ha molti debiti nei confronti soprattutto di Dr. House.
Il dottor Lightman (Roth) ha fondato un'agenzia di investigazione molto particolare: collabora con l'FBI ma non si occupa di spionaggio, ottiene incarichi dalla polizia ma non deve dare la caccia ai delinquenti. Il dottor Lightman ha fondato il suo successo sugli studi di una vita: l'analisi delle espressioni facciali e corporali, attraverso le quali sa comprendere quando un individuo sta mentendo. Grazie a questa stupefacente capacità, riesce ad indagare laddove le autorità falliscono (macchina della verità compresa, i cui limiti vengono anche spiegati nel corso degli episodi). Ovviamente, una qualità del genere finisce con l'influenzare anche la vita privata: Lightman non sopporta i bugiardi, capisce quando qualcuno mente ma deve anche moralmente decidere quando è il momento di intervenire.
La storia di per sé è avvincente e la frase d'apertura di ogni episodio (gli eventi narrati non corrispondo a fatti reali) ironicamente stride con i volti noti che spesso vengono mostrati come esempi di bugiardi (con particolare insistenza su Bill Clinton!). Tra i punti di forza della serie, oltre quel gran pezzo d'attore di protagonista che si diverte ad esagerare come non mai, c'è sicuramente un contorto discorso sul senso delle bugie e sulla necessità di mentire. "Tutti mentono" ripete in continuazione il Dr. House e da questa considerazione il medico più famoso di oggi tratta con il dovuto disprezzo ogni persona che ha davanti; il Dr. Lightman, invece, intrattiene rapporti più cordiali con gli altri essere umani, non impedendosi di giudicarli ogni qual volta sparano una balla, rendendo molto difficile la convivenza.
Nel meccanismo della serie, inoltre, si instaura un gioco all'apparenza stupido ma che stuzzica più di un corto circuito: quando un personaggio mente, il Dr. Lightman non manca di spiegarci da cosa lo ha capito (e molte di queste cose si ritrovano anche negli studi di psicologia moderni), mettendoci dinanzi al fatto che abbiamo davanti un attore che sta interpretando (e dunque mentendo) un individuo che mente. Riusciamo a smascherare, in qualche modo, il grande inganno della recitazione e possiamo anche intuire lo sforzo che questa richiede, in questo caso ancora di più. L'abilità del serial sta nel ricordarci che questo gioco di finzione tipico dell'attore è in realtà la maschera che ciascuno si porta dietro nella realtà. 
Prima serie in corso negli USA, sono previsti 12 episodi per ora. 

24.2.09

Oscar 2009: yawn

Oscar all'insegna della banalità, con la prevedibile vittoria di The Millionaire (porta a casa 8 premi) e la delusione di Fincher e del suo Benjamin Button (3 in tutto, tutti tecnici). Confermato anche l'Oscar allo scomparso Heath Ledger per l'interpretazione del Joker in The Dark Knight. Sean Penn ha strappato la sua seconda statuetta lasciando a mani vuote Mickey Rourke (e riportandoci tutti, quindi, in una dimensione più realistica) per l'interpretazione stupefacente di Milk e ne approfitta per ricordare a tutti le battaglie che ci sono ancora da fare per i diritti civili e ringrazia pure Rourke per la sua parabola di vita. Sorpresa per la vittoria di Penelope Cruz, attesa e sbadigliata la certezza Wall-E
Ormai si riesce quasi sempre a confermare le tendenze, anche perché non si fugge mai dalla logica delle nomination a pioggia per quei due o tre film che si giocheranno la serata. 
Tutti i premi qui

12.2.09

Correndo con le forbici in mano

Running with scissors di Ryan Murphy
(2006) USA

L'esordio alla regia del creatore di Nip/Tuck è uno schizofrenico viaggio nel mondo di un gruppo di persone che per vie molto perverse forma una sorta di famiglia; tanto più si avvicina al concetto di famiglia se pensiamo che gli elementi di molte di queste si fanno più male che bene l'un con l'altro. La storia reale di Augesten Burroughs e del suo drammatico rapporto con una madre decisamente instabile è narrato nel pieno stile di American Beauty: quindi piuttosto che farci inorridire per l'incredibile quantità di idioti che popolano il mondo (l'America, in questo caso), il regista ci fa empatizzare con loro, proviamo pietà per loro e per le loro disgrazie che tutto sommato sembrano essere il risultato di un'intera società andata a male piuttosto che le conseguenze di scelte sbagliate; per esempio, il personaggio della bravissima Jill Clayburgh è inghiottita dall'orrendo cliché della casalinga americana che però è talmente frustrata da non riuscire neanche a tenere in ordine la casa. Ovviamente, tutta l'attenzione è per il protagonista alla soglia dei 15 anni e per il doloroso distacco da sua madre (Annette Bening che ruba la scena a tutti ogni volta che viene inquadrata), resosi necessario dall'evidenza che le sue nevrosi stavano finendo per divorare quel che di buono c'era nel ragazzo; insomma, Augesten non vuole fare la fine di suo padre o del dr. Finch che ha messo su una famiglia talmente psicoanalizzata da non avere più nessun freno inibitorio e nessuna regola. 
Quel che il film ha da offrire, insomma, non è nulla di nuovo. Questo perché Murphy dovrà perfezionare il suo stile che ha molto da offrire ma non sfugge a tutti i cliché del genere (la signora Burroughs che impazzisce di brutto e balla sotto una pioggia di neve nella sua camera da letto con un classico degli anni '70 sparato a tutto volume... è davvero troppo!) svalutando così l'esito complessivo dell'opera; raccontare una storia straordinara in modo del tutto ordinario non è davvero quello che mi aspettavo, visti i precedenti televisivi. E poi ancora non mi sono abituato ai film narrati in prima persona dove quindi si suppone che tutto sarà visto dall'ottica del protagonista e della sua esperienza diretta esclusiva, cosa che poi non avviene. E' il genere di cosa che mi fa un pò incazzare.

8.2.09

Ultimo atto

La quarta ed ultima parte sulle scene eliminate di Fuoco cammina con me a cura di Dugpa.com è stata pubblicata