Pensare che Il Caimano sia un film su Silvio Berlusconi è ingenuo oltre che riduttivo. L’ultima pellicola di Nanni Moretti è molto di più. Parte dall’idea coraggiosa di una giovanissima autrice cinematografica esordiente (Jasmine Trinca) di realizzare il primo film sulla figura di Berlusconi, appunto, ma poi il film svela le sue molteplici facce e i suoi protagonisti, un Silvio Orlando in stato di grazia nei panni di un produttore cinematografico di serie B che nel disperato tentativo di risollevare le sorti della sua casa di produzione, accetta, prima a malincuore e poi con ostinazione, di realizzare Il Caimano, questo film che narra le origini sospette della ricchezza di Berlusconi. E mentre fatica a cercare un protagonista disponibile (fra cui un Michele Placido più viscido che mai) e un produttore, cerca anche di salvare quel che resta del suo matrimonio con Margherita Buy, giunto ormai alla fine. Come sempre nei film di Moretti, intorno ai due protagonisti gravitano tante facce e tanti mondi, come quello del cinema che fatica a farsi coraggioso, a rendersi diverso e poi c’è l’Italia, quella Italia mutata, profondamente trasformata dall’avvento sulla scena dell’uomo di Arcore. Oltre ai personaggi che rispecchiano un po’ di se stesso, Moretti questa volta affina la sua regia, la perfeziona e va oltre quel certo minimalismo de La stanza del figlio per trovare il giusto tono a questa commedia che a tratti sfiora il grottesco e a tratti il dramma.
Pensare che Moretti abbia realizzato questo film con l’intenzione di spostare voti è folle. Lo dice lui stesso nella prima apparizione nel film: “quelli che vogliono sapere già sanno, quelli che non vogliono sapere, ignoreranno.” Come uscirne? Davvero la gente si è assuefatta a quello che Berlusconi ha fatto alla nostra democrazia, al nostro sistema, al nostro paese? O credere di poter fare un film del genere, un film diverso, è possibile? E’ di questo che ci parla Nanni Moretti, di dove è andata l’Italia negli ultimi 30 anni, non di cosa ha fatto Berlusconi. Dopo il primo tempo, la figura dell’uomo di Arcore diventa marginale perché se è vero che il suo effetto sull’Italia è stato enorme, è altrettanto vero che ciò è avvenuto perché il popolo non solo lo ha concesso ma lo ha anche condiviso senza scomporsi più di tanto. Nanni Moretti ci lancia tutto questo addosso finché il produttore Silvio Orlando, ormai sull’orlo della rovina, ha un ultimo scatto di orgoglio e decide di girare almeno l’ultima parte del film: quella in cui Berlusconi compare in tribunale e tra un monologo contro la giustizia e un altro contro la sinistra, ascolta il verdetto dei suoi processi. Non è mia abitudine rivelare troppi dettagli, ma sappiate che a impersonare il presidente del Consiglio è lo stesso Nanni Moretti senza alcun trucco e la devastante angoscia e il profondo turbamento che mi ha provocato la sequenza finale è qualcosa che non provavo da tempo al termine di un film e che mi ha prepotentemente obbligato a interrogativi da troppo tempo sopiti nella nostra società.
Per questo, a mio parere, Nanni Moretti ha fatto centro e pur non essendo un suo eccessivo ammiratore, mi confesso innamorato di questa opera e sinceramente non trovo nessun motivo che mi trattenga dall’usare l’aggettivo più scomodo ed abusato nel mondo del cinema: capolavoro. O perlomeno, nella cinematografia di Moretti è un autentico capolavoro.