24.2.10

Amabili resti


Lovely bones di Peter Jackson
(2009) Usa\Uk\New Zeland

Atteso al varco dopo il mezzo flop di King Kong che seguiva il successo universale della trilogia tolkeniana, Peter Jackson abbandona l'Australia e torna in terra americana per il difficile adattamento di Amabili resti, romanzo cult che affronta la storia di un assassinio dal punto di vista della vittima dopo la morte. 
Il film segue due binari paralleli: da una parte c'è l'adolescente uccisa che veglia sui propri cari da una sorta di limbo che precede il paradiso, dall'altra c'è la famiglia sconvolta dal brutale omicidio che cerca, ciascuno a suo modo, di tirare avanti. Ciò che concerne la prima idea è quanto di più scontato ci si poteva aspettare: Jackson dipinge un'aldilà molto new-age e dai colori sgargianti, indefinito e incompleto e per questo incapace di emozionare; c'è da crederci quando Jackson confessa di non credere in una vera e propria vita dopo lo morte in quanto proprio queste parti sono le meno ispirate del film. Al contrario, la seconda idea è fortissima e piena di intuizioni interessanti: la caratterizzazione dello spietato serial killer di Stanley Tucci si affianca ad una serie di idee cinematografiche potentissime che riescono ad attualizzare tecniche di suspence e di narrazione molto tradizionali, donando al genere nuove prospettive di messa in scena; a tal proposito, il segmento più significativo è l'intrusione della sorella della vittima nella casa dell'assassino: il crescendo emotivo si fa forte di calcolati silenzi e particolari in primissimo piano (nel guardare il dito che scorre sulle pagine si ha l'impressione di assistere ad una scena girata da Hitchcock con le moderne tecniche di ripresa). Altro punto a favore della pellicola è l'assunto finale al quale mira: al termine della storia, dopo aver dovuto sopportare una patetica scena alla Ghost e dopo aver rinunciato intelligentemente ad un'effettiva conclusione dell'aspetto thriller della storia, si comprende che l'autore ha voluto narrare di un tema antico ma comune a tutti come l'elaborazione del lutto; la bellissima intuizione, in nuce al romanzo, è di raccontarlo dal punto di vista della vittima. Ecco allora che gli amabili resti sono i legami che non riusciamo a spezzare, neanche quando è la vita stessa ad imporci una saggia recisione. 
Nel suo complesso il film è ben riuscito. La regia di Jackson perde colpi solo nelle parti "paradisiache" della storia mentre è salda e lucidissima in quelle "terrene". Molte scene sono perfettamente costruite ed ampiamente aiutate nella resa finale da una magnifica colonna sonora firmata Brian Eno. 

18.2.10

Paranormal Activity

(2007) USA

Un film costato quindicimila dollari e che ne incassa duecento milioni ha già vinto a metà. Che questo film, poi, sia una boiata è tutt'altro discorso. Il problema è che buona parte dei cinefili che lo vanno a guardare si mangiano le mani perché pensano che una cosa del genere la potevano fare anche loro e che anche loro potevano impressionare Spielberg a tal punto da farsi sponsorizzare il film, ottenere un successo ai botteghini e guadagnarsi abbastanza fiducia da lanciarsi a capofitto nel prossimo progetto disponendo di un budget ben più ricco. Perciò diffidate da chi boccia il film senza remore: queste persone appartengono alla suddetta categoria e ad un'altra che comprende quel pubblico non disposto ad accettare un film amatoriale nel quale ben poco accade. Se si vuole fare un'analisi seria, bisogna concentrarsi innanzitutto su cosa questo film rappresenta. Al di là che faccia paura o meno (il terrore in sala è un fattore soggettivo, non basta l'etichetta horror a rendere un film pauroso, conosco gente che si è fatta grasse risate con L'esorcista o Shining), Paranormal Activity rappresenta una frattura nelle regole della messa in scena; questo potrebbe apparire banale ma il discorso si fa interessante se, guardandolo, ci si accorge che tutti i canoni narrativi tipici dell'horror sono intatti. E' solo la messa in scena ad essere alternativa ma il racconto è pressoché tipico nel suo genere. 
Il film di Oren Peli infrange le regole cinematografiche per necessità: si libera della zavorra tecnica e produttiva per mancanza di fondi e punta dritto all'intrattenimento puro, al disperato bisogno delle persone di esorcizzare le proprie paure vedendole proiettate sul grande schermo e diventa biglietto da visita per una carriera da regista. Fra l'altro il film non è così deludente come si dice in giro ma è troppo carico di aspettative: in molte parti è addirittura noioso e dura molto più di quanto dovrebbe pur essendo abbastanza breve, ma lo spettatore vive in funzione delle riprese notturne, quando sa che si spaventerà e sa che qualcosa, per forza di cose, accadrà. E' una costruzione narrativa perfetta e in questo vince, ma non è originale e non lascerà alcun segno.
Non aspettatevi altro, non è il trionfo di un nuovo metodo cinematografico, non ripetiamo gli errori fatti con The Blair Witch Project. Sono il passaparola ed il marketing che stanno mietendo vittime ma queste sono due cose delle quali non ci si dovrebbe mai fidare. 

16.2.10

An Education

An Education di Lone Scherfig
(2009) UK

La leggerezza con la quale si snoda il racconto è probabilmente il più grande pregio di questa pellicola candidata all'Oscar. Sulla carta rischiava di rimanere una melensa storia di formazione condita da episodi scandalosi inerenti il rapporto tra la protagonista adolescente e il suo più maturo seduttore. La storia fra i due, invece, non scade mai nel banale o nell'ipocrita provocazione per immagini ma anzi è talmente pudica e tenera da commuovere. E comunque non è neanche il tema centrale del film, perché a ben guardare è il contesto storico il vero protagonista della narrazione. La cornice culturale inglese nella quale tutto prende piede è un momento cruciale della storia contemporanea, è antecedente le grandi rivoluzioni del '68 ma sfiora la fine dell'età dell'oro inglese; è quel momento sul quale ancora oggi la società inglese si interroga, foriera di ambiziosi slanci, troppi dei quali sono stati sonore delusioni. In questo periodo nel quale le donne non si sono ancora emancipate e devono sudarsi istruzione e ruolo sociale si snoda l'educazione della protagonista, vero prototipo della donna del '68, alla quale può contrapporsi la figura dell'insegnante Olivia Williams, vittima proprio di quel sistema che la Mulligan si sta preparando a combattere. La sua sete di conoscenza, necessaria alla sopravvivenza, si scontra con l'appagamento dei propri sensi e la ricerca del divertimento, quel mettere l'io davanti a tutto che sarà uno dei risultati peggiori del '68. Su questo il film assume una posizione netta, non revisionista e non reazionaria: si limita a fotografare quel che è stato e se qualcuno ci vedrà un attacco alle istanze della più grande rivoluzione culturale del '900 starà guardando il film con estrema malizia (o incolpevole ignoranza).
Al film non mancano spiacevoli cadute in basso (la rappresentazione manieristica della Francia, la conclusione un po' arrangiata e sporcata dalla voce fuori campo) ma la regista ottiene il meglio dai suoi attori, su tutti un magnifico Alfred Molina che incarna l'altra grande faccia della pellicola, il rapporto tra genitori e figli, tra le aspirazioni ed i sacrifici dei primi e il desiderio di non deluderli senza annullare la propria personalità dei secondi.