26.5.10

Lost - L'isola ha finito con voi

ATTENZIONE: QUESTO POST CONTIENE SPOILER PER CHI NON HA ANCORA VISTO LA FINE DEL SERIAL "LOST".

E' molto difficile considerare soddisfacente il finale di Lost, l'ultimo episodio che mette un punto definitivo alle sei gloriose stagioni di questo serial. Su questo blog ho sempre parlato di Lost in termini "tecnici", se così mi è permesso dire: ne ho sempre sottolineato l'incredibile portata innovativa a livello di narrazione televisiva (e dunque seriale); mi sono sempre concentrato sull'enorme mole di viral marketing che ha accompagnato la produzione delle stagioni, strategie per nulla da sottovalutare; ho voluto riportare come Lost, forte del suo successo, ha imposto un nuovo modo di fruizione del serial televisivo: non più passività da parte dello spettatore ma un coinvolgimento attivo nella ricostruzione della trama e dei diversi strati diegetici. L'unica volta (la prima volta!) che mi sono soffermato sulla trama vera e propria, mi sono concentrato più sui personaggi che sui misteri, afferrando subito le vere intenzioni degli autori, come ho ricordato nel post precedente. Adesso che tutto è finito e il gioco a massacro da parte dei fanatici per ricostruire il tutto si può dire esaurito, si può avviare un'analisi seria della trama stessa e di ciò che ha voluto rappresentare. Un'analisi approssimativa, tendenziosa e soprattutto personale, sia ben chiaro.
Lost, in inglese, assume vari significati. Uno di questi è perdersi, smarrirsi, anche dimenticarsi. In fondo che il titolo del serial non si riferisse alla condizione di naufraghi dei protagonisti lo avevano intuito tutti: ad un certo punto, probabilmente con l'introduzione dei flashforward, era chiaro che i naufraghi dovevano compiere un percorso di redenzione su quella dannata isola, ritrovare sé stessi in una sorta di comunione forzata con i compagni di sventura. "Si vive insieme o si muore da soli" era il motto del loro leader. E' stato in quel momento che avremmo dovuto capire la poca sostanza che i misteri avrebbero avuto nell'economia del tutto: quell'isola esiste, ha una funzione mistica non da poco (garantisce una sorta di equilibrio fra bene e male nel mondo e fa in modo che tutti possano scegliere fra l'uno e l'altro in assoluta libertà) e deve continuare ad esistere. Su quell'isola si sono succedute popolazioni provenienti da ogni dove ed ogni quando, grazie alla capacità dell'isola di spostarsi nello spazio e nel tempo (l'equilibrio metafisico che garantisce non esiste qui e adesso ma è dappertutto). Su quell'isola si succedono dei custodi che, una volta diventati tali, assumono molti poteri, fra i quali quello di decidere le regole dell'isola: se essa può essere scovata, colonizzata (dalla Dharma, per esempio) ed abitata. Quando il custode è stanco di ricoprire quel ruolo, può chiamare a sé chi desidera come sostituto e da lì la storia ricomincia daccapo. Questa è l'isola e tutto ciò che abbiamo visto sin dal primo episodio è l'incredibile battaglia di potere scoppiata tra il custode dell'isola e la sua nemesi: in mezzo a questa battaglia c'erano i naufraghi, chiamati a redimersi dalle loro incasinatissime vite per poter poi decidere liberamente se assumere il ruolo di custodi. In questo senso la storia che si svolge sull'isola è chiarissima e l'ultimissima scena che chiude il tutto è emozionante e completa: Jack assolve il suo compito, si sacrifica per trovare il suo posto nel mondo, ritorna laddove tutto è iniziato e può morire in pace mentre vede l'aereo che riporta a casa i suoi amici: la prima scena fu un occhio che si spalancava, l'ultima non poteva che essere un occhio nell'atto di chiudersi per sempre. Ciò che ha fatto incazzare molti appassionati del serial è ciò che, cronologicamente, succedeva nell'attimo in cui Jack si spegneva: nasceva questa sorta di limbo nel quale tutti coloro che avevano condiviso quell'avventura dovevano affrontare l'ultima prova prima di ritrovarsi ed "andare avanti". Ricordare tutto ciò che era stato, ciò che avevano condiviso e come avevano raggiunto la piena maturità di sé stessi e la coscienza che non si può essere soli nella vita: "la parte più importante della tua vita è stata quella che hai trascorso con queste persone. E' per questo che siete tutti qui: nessuno ce la fa da solo. Hai avuto bisogno di tutti loro e loro hanno avuto bisogno di te." Queste parole, a conclusione dell'episodio, rendono benissimo tutto ciò che è stato. L'incazzatura dei fans deriva dalla sensazione di presa in giro per aver assistito per un'intera stagione ad un'esistenza "altra" (flashsideways) che tale non era in quanto solo frutto della coscienza morta di ciascuno dei protagonisti: incazzatura rispettabilissima e comprensibile. Io stesso non ho gradito tale divagazione "post-mortem" ma credo che questo sia un problema del pubblico europeo, molto meno incline (strano a dirsi) ai concetti metafisici o religiosi di quello americano. Anche se va dato atto a Lindelof e Cuse di aver reso quella sorta di limbo il più neutro possibile: non mi riferisco ai ridicoli riferimenti multireligiosi nella scena finale ma alla proposizione di una vita dopo la morte (l'utopia di tutti gli esseri umani) che non fosse troppo caratterizzata e personalizzata: difatti i protagonisti si ritrovano in una sorta di chiesa della quale, però, ci viene celato l'altare onde evitare una marchiatura troppo religiosa del tutto. Lo stesso Christian Shephard spiega al povero Jack che non stanno lasciando quel posto per andare altrove: semplicemente stanno andando avanti, stanno metabolizzando l'incredibile storia vissuta ed i delicati rapporti che ne sono conseguiti per poter voltare pagina, per lasciare andare, per andare avanti. Un chiaro messaggio degli autori ai loro collaboratori ed al loro pubblico: tutto questo è stato, lo avete condiviso con altre persone che hanno gioito e sofferto delle vostre stesse passioni, ma adesso è finita e non state troppo tempo lì inebetiti a cercare di capire o a sperare che continui; ve la siete goduta, adesso andate avanti. Come dargli torto?
In fondo Lost è stata una delle più rischiose scommesse della tv commerciale, forse il programma che più di ogni altro ha cercato uno spirito epico raramente rintracciabile nel piccolo schermo: decine di personaggi, dozzine di storie sviluppate, temi etici e morali, fede e scienza (e dispiace dirlo, ma per scelta degli autori la prima ha vinto sulla seconda), libero arbitrio. Sono stati sei anni intensi. Pazienza se non c'hanno spiegato tutto, pazienza se ci hanno preso palesemente in giro, in fondo abbiamo fatto il loro gioco così come loro hanno fatto il loro mestiere. Prendiamolo per quello che è stato. Ce la siamo goduta. Adesso andiamo avanti. 

23.5.10

The End

Stanotte sarà finita. Dopo 6 anni, Lost metterà la parola fine alla sua storia e la cosa sta scatenando un putiferio in rete e nel mondo. Perché? Perché gli autori hanno mantenuto fede alle promesse e cioè non hanno spiegato granché dei misteri disseminati nell'arco di 100 e più episodi. Certo, rimane ancora l'episodio finale (doppio con aggiunta di 30 minuti, ringraziando la ABC) ma difficilmente tutto ciò che è stato lasciato in sospeso verrà concluso. Molti ammiratori del serial hanno preso questo atteggiamento come un tradimento, una presa in giro, un'offesa al concetto stesso che sta alla base di Lost. Ovviamente, molti di questi fanatici farebbero bene a farsi una vita e dirottare altrove le proprie frustrazioni piuttosto che su un serial che (per quanto innovativo sia stato) rimane pur sempre un prodotto d'intrattenimento. Molti di questi fanatici non ricordano (o non sanno, beata ignoranza) che neanche Twin Peaks fornì risposte soddisfacenti, anzi rimase praticamente inconcluso eppure dopo 20 anni viene ancora celebrato, viene ancora mandato in onda su tutte le tv ed è ancora capace di attrarre l'attenzione di chi l'ha già visto o di chi lo vede per la prima volta. Questo perché fu capace di innovare, di stupire, perché aprì una breccia nel sistema televisivo dell'epoca e spianò la strada all'era moderna del serial, Lost compreso. 
E infine c'è un'altra cosa: pensare che al centro di Lost ci siano i misteri è fuorviante. Gli autori lo ripetono da mesi che il centro narrativo è tutt'altro e fa piacere scoprire che ne avevo già scritto anni fa perciò mi limiterò a citarmi: "Lost è la storia di un gruppo nutrito di persone che precipita su un'isola. Ciascuno di loro ha un passato che non solo lo collega a qualcun'altro presente sull'isola ma che sembra anche essere buon motivo di una predestinazione a precipitare proprio lì. Il luogo dove si risvegliano dopo l'incidente sembra essere idilliaco ma fin da subito si rivela minaccioso: oscure presenze infestano la giungla, strani esperimenti vengono condotti da persone che già abitavano l'isola. Ogni personaggio, allora, dovrà farsi carico delle proprie esperienze e della propria personalità per cercare di sopravvivere in un posto che tutto sembra tranne che accogliente. Ed ecco, allora, il punto emotivamente più forte di Lost: l'umanità che viene rappresentata, i protagonisti, è un ampio ventaglio di personalità che abitano il nostro mondo e in cui tutti gli spettatori (costante dei serial) possono riconoscere qualcosa di sè stessi. Ma questo va ben oltre il mero tecnicismo di empatia con il pubblico. I protagonisti, dal primo all'ultimo, ingaggiano una battaglia con quelli che sembrano essere elementi soprannaturali (ma a Lost nulla è come sembra) ma in realtà stanno combattendo con le stesse paure che affrontiamo noi nella vita di tutti giorni, in primis la paura della morte e il fortissimo spirito di sopravvivenza che ci contraddistingue. Ognuno di loro deve fare i conti con gli errori del passato, più o meno grandi, riconciliarsi con sè stessi e trovare la forza di andare avanti. Di espiazione si tratta, nulla a che vedere con le religioni anche se Lost, specie nella seconda serie, porta avanti un discorso non indifferente sullo spiritualismo e soprattutto la fede. Ma ciò che tende a sottolineare è il difficile cammino che tutti devono intraprendere per scacciare i demoni di un passato che in quanto tale influenza presente e futuro. Viene dipinta così l'umanità tutta in un microcosmo fanta-avventuruoso dove è prepotente una fortissima carica drammatica. [...] Il quadro finale lo avverto desolante ma umanamente vero: si vive insieme, si muore soli, come viene più volte ripetuto nell'arco narrativo della storia. E' una risposta che non consola ma è la vita stessa a non essere conciliante con le aspirazioni degli individui."
Ovviamente domani, a serie veramente conclusa, torneremo sull'argomento per scriverne con il senno di poi. 

20.5.10

Draquila - L'Italia che trema


(2010) ITA

Presentato a Cannes non senza polemiche (tutte nostrane), il nuovo film di Sabina Guzzanti (attrice satirica che si è data al cinema perché epurata dalla televisione) conferma un percorso di sensibile crescita dell'autrice stessa che nel 2005 si diede al documentario con Viva Zapatero! (sorta di urlo liberatorio contro le infamie che ha dovuto subire lei e tutta la satira in Italia), al quale ha poi fatto seguire un piccolo film come Le ragioni dell'aragosta, molto più ambizioso ed intelligente, quasi sperimentale, dove usava il "trucco" del documentario per costruire un'opera molto più complessa. Con Draquila torna al documentario duro e puro, ispirato al cinema di Michael Moore e con il pretesto di raccontare del terremoto de L'Aquila riesce invece a raccontarci di tutto il sistema Italia e dei politici che quel sistema lo fomentano e lo usano a proprio vantaggio. 
Tutta questa generosa premessa per dire che: poche volte Draquilasupera le maglie del giornalismo per farsi cinema; a fatica si libera del ritmo e del montaggio quasi televisivo per andare oltre ed osare di più. L'idea vincente è la costruzione narrativa che regge il film, capace di emozionare nei punti di svolta proprio perché raccontata cinematograficamente bene, ma tutto il resto è molto debole e non da grande schermo. La tesi sostenuta è invece fortissima e ottimamente documentata: a vedere il film ben si comprende perché Sandro Bondi (sic) ha innescato una pretestuosa polemica internazionale; invadendo poco ed in punta di piedi lo schermo, Sabina Guzzanti ascolta tutti e fa parlare tutti ma con un montaggio perfettamente riuscito sottolinea quelle che sono le sue idee e ciò che l'occhio della sua telecamera ha catturato.
Al solito, si esce dal cinema incazzati ed amareggiati.

5.5.10

"Se farai il bravo, mi rivedrai una volta. Fai il cattivo e mi rivedrai altre due volte."


David Lynch sta preparando il sequel di Mulholland Drive? Questa è la notizia che da qualche settimana circola pazzamente in rete. 
Cosa c'è di vero? C'è di vero che Laura Harring, protagonista del film nel 2001, in un'intervista alla NBC ha detto che si sta muovendo qualcosa in quella direzione, che l'avvio del progetto è imminente e che non poteva proprio dire come faceva a sapere una cosa del genere. C'è di vero che David Lynch non è intervenuto né a confermare né a smentire la notizia. 
Cosa c'è di falso? Laura Harring non ha mai parlato di sequel. L'attrice ha parlato di un "follow-up", che tecnicamente potrebbe essere inteso non come un "sequel" ma come un approfondimento, un seguito delle tematiche trattate piuttosto che della storia vera e propria.
Caso mai a qualcuno interessi, ecco la mia opinione: mi sa di bufala. Una bufala che Lynch non si affretterà a smentire perché si sta pur sempre parlando di lui e delle sue opere cinematografiche, insomma tutta pubblicità che non fa mai male. Non solo ma visto lo stato delle cose, ho sempre di più la sensazione che INLAND EMPIRE rischia d'essere l'ultima opera cinematografica di un David Lynch ormai sempre più distratto da tante altre cose. Spero di sbagliarmi, ovviamente. Su quest'ultima cosa, non sul "sequel" di Mulholland Drive