6.11.07

C'era una volta Dario Argento...

Mi preme buttare giù due righe di riflessione all'ombra della cocente delusione de La terza madre (a tal proposito, sottoscrivo in toto la recensione di Mereghetti). Parole che nascono da una full-immersion nel mondo di Dario Argento che ho avviato in questi giorni proprio per capire da dove il regista italiano sia partito e dove è arrivato.
Ad esempio, in questi giorni ho potuto rivedere dei classici di Argento come Phenomena o i bellissimi Suspiria e Profondo Rosso. Film che messi a confronto con i recenti Non ho sonno, Il cartaio o il nuovissimo La terza madre fanno addirittura sorgere il dubbio che siano stati scritti e diretti dalla stessa persona. E' anche vero, però, che già nei primi film è possibile ritrovare elementi che nella carriera recente di Argento sono diventati i suoi difetti più imperdonabili. Non mancando in Phenomena, ad esempio, dialoghi piuttosto puerili che ricordano quelli de La terza madre. Ma Phenomena rimane comunque un gran bel film, che si distingueva all'epoca. Così come Profondo Rosso rasenta il capolavoro nel suo genere: una maestria nella composizione delle imamgini, delle inquadrature e nell'utilizzo delle musiche e degli attori che è quasi impossibile ritrovare nel moderno Dario Argento.
C'è da chiedersi, a questo punto, se è Dario Argento ad essere cambiato o è il pubblico ad essere cambiato. Io sarei per la seconda ipotesi: i primi film del regista colpivano per proprietà del mezzo, stile ben definito e volontà di proporre il nuovo in un genere che è sempre sull'orlo del logoramento. Il problema è che tutto ciò è rimasto immutato. Ma tra Profondo Rosso e La terza madre ne è passato di tempo e ne sono successe di cose nel mondo del cinema horror e thriller, cose che non possono essere ignorate per rimanere fedeli ossessivamente a se stessi ma che vanno affrontate, assimilate e rielaborate per arricchire il proprio stile.
Vedere Suspiria e vedere poi La terza madre provoca una fitta al cuore. L'orgoglio patrio per Dario Argento si trasforma in rabbia ed imbarazzo. Perché lui non si è sforzato di andare oltre, di tenere il passo. E troppo spesso ha sfiorato il ridicolo. Per questo in Dario Argento, dopo l'ultima cocente delusione, non riporrò più alcuna fiducia e continuerò a godermi i suoi primi, piccoli classici, artigianali e splendidi.

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